Bilancio 2022
Delega di pagamento e doppia cessione del quinto (“il Lametino” n. 238 – Gennaio 2018)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 238 – Gennaio 2018, col sottotitolo: Tutti i dettagli su due tra le forme di prestito più diffuse)
L’eccessivo indebitamento è fenomeno che produce effetti devastanti, specie quando si ricorre all’usura con l’illusoria speranza di risolvere i propri problemi. L’usura, però, non risolve nessun problema: le mire dell’usuraio sono quelle di impadronirsi con la violenza e la sopraffazione, del patrimonio dell’usurato.
Purtuttavia il ricorso all’indebitamento smodato e in misura superiore alle proprie possibilità, è fenomeno molto diffuso: ci si indebita perché le cresciute disponibilità liquide, acquisite coi prestiti, danno la sensazione di essere diventati più ricchi.
Questa non è una nostra illazione, ma un comportamento rilevato dalle statistiche ufficiali, le quali ci dicono che il ricorso al debito è motivata, nella maggior parte dei casi, con il desiderio di acquisire tout court maggiori disponibilità liquide.
L’indebitamento, in questi casi, diventa atto irrazionale.
L’indebitamento deve essere invece atto responsabile, al quale ricorrere solo per soddisfare bisogni sopravvenuti che siano urgenti ed inderogabili e purché esso sia sostenibile dalle capacità di reddito, proprie e della propria famiglia.
L’irrazionale ricorso all’indebitamento è anche favorito da fattori esterni, quali:
-la facilità con la quale Banche e Finanziarie accolgono le richieste di alcune tipologie di prestiti e delle quali ci occuperemo di seguito;
-la scarsa preparazione finanziaria del richiedente- debitore.
Individuate le cause che spingono all’indebitamento irrazionale, che potrebbero determinare il fenomeno del sovra-indebitamento, occupiamoci di come esse si combinino e interagiscano nella concessione di due forme di prestito sicuramente le più diffuse: la cessione del quinto dello stipendio (Cqs), la delega o delegazione di pagamento e, quando esse coesistano, la cessione del doppio quinto. Esaminiamole nei dettagli.
La cessione del quinto dello stipendio, riguarda il 27% delle richieste di prestito.
Essa è regolata dal DPR n. 180 del 1950; il debitore può cedere, a garanzia del proprio debito, il quinto del suo stipendio netto, determinato dall’importo lordo detratte le spese per ritenute fiscali, assistenziali e addizionali, compresa la tredicesima e, eventualmente, la quattordicesima mensilità. Detto in altre parole, il quinto cedibile va calcolato sullo stipendio netto, compresa l’eventuale tredicesima o quattordicesima divise dodici. Esso è indicato, di solito, nella busta paga; in assenza, calcoliamolo con il seguente esempio: stipendio netto € 1.400 + tredicesima mensilità 1400:12= 116,66.
Quinto cedibile: (1.400+116,6): 5= 303.
Il quinto cedibile, determina, nel contempo, l’ammontare del prestito concedibile e l’importo massimo della rata di ammortamento.
Passiamo alle condizioni economiche alle quali è regolata la cessione, indicate, per il trimestre in corso (1.1- 31.3), dalle rilevazioni effettuate da Banca d’Italia per il calcolo dei tassi usurai. Il prospetto indica-le operazioni del genere esaminato sono divise in due scaglioni di importo- i Tegm (tassi medi effettivi globali, comprensivi di tutte le spese) applicati dal Sistema ed i tassi soglia (quelli oltre i quali i tassi diventano usurai), nelle misure seguenti:
-a) per le operazioni fino ad € 15.000: Tegm 11,676% – tasso soglia 18,595%;
-b) operazioni di importo superiore: …Tegm 8,973% – tasso soglia 15,217%.
Osserviamo: il tasso applicato è regolare se inferiore al tasso soglia. Tra i due tassi però esiste un ampio margine di variabilità pari a più di 6 punti percentuali ed entro tali limiti il tasso è, di solito, regolare. Con ciò vogliamo affermare che il tasso di regolamento del singolo prestito potrebbe essere superiore a quello medio rilevato dal Sistema: è la logica della media.
Fatta questa considerazione, passiamo a quella successiva: i tassi medi di regolamento (TGM) collocano, la Cessione del quinto dello stipendio, tra le operazioni di prestito più esose: essa è seconda solo alle famigerate “carte revolving”, regolate a tassi superiori.
La cessione è per le Banche l’operazione decisamente più sicura in quanto, nel tempo, esse sono riuscite ad elaborare un’operazione che le mette al riparo da qualsiasi rischio di insolvenza: non solo è ceduto in pegno a garanzia la parte dello stipendio necessaria a pagare la rata di ammortamento, ma gli Istituti concedenti hanno elaborato altre forme di garanzia assicurativa quali il rischio di premorienza e il rischio di perdita o di riduzione eventuale dello stipendio. I premi di assicurazione sono a carico del debitore.
Sono a suo carico anche le spese di istruttoria e le commissioni calcolate in misura variabile a seconda dell’entità dei prestiti, e della tipologia sia dei prestiti che dei debitori.
In particolare:
-la qualità dell’impiego del debitore (pubblico o privato, a tempo determinato o indeterminato); -la forma sociale e il numero dei dipendenti dell’impresa presso cui lavora; -l’anzianità di servizio e l’entità del TFR maturato; -la durata del prestito; -l’esistenza di altri impegni che comportino pagamenti di rate mensili e la loro entità; -la puntualità nei pagamenti; -le spese di distribuzione comprese tra 0 e 2% (sono quelle che si pagano quando l’operazione è effettuata per il tramite, di solito, dei cosiddetti negozi finanziari); etc.
Se il quinto cedibile non è sufficiente alle proprie necessità si può ricorrere, in aggiunta alla cessione, ad altra operazione: la delega o delegazione di pagamento. Le due operazioni non si differenziano: anche la delegazione implica il pegno dello stipendio, fino alla concorrenza dell’importo della rata di ammortamento e viene concessa con le stesse procedure della cessione del quinto (stesso iter, stessa procedura per il calcolo dei costi).
Nella cessione l’autorizzazione data al datore di lavoro di pagare le rate del prestito è irrevocabile e nella delega diviene tale dopo la notifica e l’accettazione del datore di lavoro.
La delegazione in aggiunta alla cessione permette di avere un prestito doppio, perché doppio è il quinto cedibile (40% dello stipendio) ed è anche detta doppia cessione del quinto.
La delega o la delegazione di pagamento non ha una disciplina propria, ma è regolata indirettamente dall’art.1269 del C.C. in base al quale il debitore può delegare un terzo (il datore di lavoro) al pagamento della rata del debito previo prelievo dalla sua busta paga.
La combinazione di tutti gli elementi fin qui esaminati, contribuisce ad aumentare il tasso di regolamento dell’operazione, il Taeg (tasso annuo effettivo globale), in misura ragguardevole e fino, in alcuni casi, al 75% del Tan (tasso annuo nominale), al fine di rendere le operazioni prive di rischi tanto che sono concesse, con ulteriore aggravio di costo, anche ai protestati.
Orbene, il costo delle operazioni (CQS, Delega, Cessione del doppio quinto) e gli impegni di pagamento, basati sulla cessione a favore di terzi (Banche, Finanziarie, Istituti Fiduciari, etc.) di una quota dello stipendio di ammontare pari alle rate di ammortamento, dovrebbero indurre il debitore ad una maggiore oculatezza: il ricorso a queste forme di indebitamento dovrebbe essere considerato eccezionale ed intervenire solo nel caso di sopravvenute urgenti ed inderogabili necessità, e valutare, quindi, se la rata di ammortamento del prestito sia sostenibile.
Vogliamo dire che il reddito potrebbe essere capiente per ottenere il prestito dell’ammontare desiderato, ma il reddito residuo, considerati anche eventuali altri impegni, a fine mese, potrebbe essersi ridotto ad entità tale da non essere sufficiente al sostentamento proprio e della propria famiglia.
La valutazione deve essere fatta dal debitore e non certo dal concedente, Banca o finanziaria che essa sia. A queste, in definitiva interessa solo se la rata per l’ammortamento del debito sia capiente nel quinto, o nel doppio quinto, dello stipendio. Tanto…, con tutte le garanzie a presidio dell’operazione la rata sarà sicuramente pagata o, se preferite, prelevata dalla busta paga. Unico onere a loro carico è costituito dal rispetto della condizione che la rata non ecceda il 20% o, in caso di cessione di doppio quinto, il 40% della retribuzione mensile netta.
La Fondazione esamina quotidianamente casi disperati di sovra-indebitamento determinato da prestiti concessi con la seguente rituale cadenza: special-credito, carta revolving, scoperto di c/c pari a tre o cinque volte lo stipendio mensile e, infine, cessione del quinto e delega o delegazione bancaria. Il cumulo delle rate, a volte, è superiore al reddito percepito ed è dato riscontrare, in questi casi, un cinismo sconcertante nella cadenza e nella concessione dei prestiti, specie gli ultimi (la cessione e la delegazione), che rappresentano l’unica risorsa residua a disposizione del debitore. Banche e Finanziarie, con l’acquisita certezza del pagamento delle rate, si disinteressano degli impegni già esistenti: il debitore, peraltro, non è tenuto a indicare, per questi prestiti, nessuna motivazione; gli impegni pregressi rappresentano, semmai, un’ulteriore variabile di aggravio del costo del prestito.
Infine, … come orientarsi nella giungla delle offerte prospettate dal mercato finanziario?
Vanno privilegiate, è chiaro, le offerte più vantaggiose…ma non è facile individuarle.
Esse indicano quasi sempre il Tan nient’affatto significativo, che può lievitare del 75%.
La scelta va fatta in base al taeg. Quando però è indicato, esso si riferisce sempre ad ipotetiche condizioni del soggetto richiedente che potrebbero essere ben differenti dalle proprie. Il consiglio che ci sentiamo di dare è quello di rivolgersi contemporaneamente a più Banche e/o finanziarie e farsi fare un preventivo in base alla propria condizione personale (età, tipo di impiego, anzianità di servizio, etc.) e… quindi procedere al confronto.
Scelta l’operazione, infine, firmare solo se vi è coincidenza tra il Taeg indicato nel preventivo e quello indicato nel contratto.
Quest’ultimo potrebbe essere anche espresso con l’acronimo Isc (Indice Sintetico di costo).
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Mons. Vittorio Moietta Onlus
Risparmio e strumenti finanziari d’investimento (“il Lametino” n. 237 – Ottobre 2017)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 237 – Ottobre 2017, col sottotitolo: I rischi connessi alla scarsa cultura economica)
Nel numero precedente de “il Lametino”, abbiamo trattato delle conoscenze finanziarie degli italiani ed abbiamo riportato alcune indagini condotte da autorevoli istituzioni internazionali che ci collocano, in quanto a cultura finanziaria, agli ultimi posti delle graduatorie mondiali, dietro a paesi quali la Tunisia, il Gabon, lo Zambia, il Camerun…
La scarsa cultura finanziaria e lo strapotere delle Banche, imputate, da qualche tempo, in processi per abusi perpetrati ai danni dei depositanti, hanno uno stretto legame. Oggetto di tali abusi è sempre l’approfittamento dello stato di ignoranza del debitore; ignoranza intesa nel senso che il debitore è sempre ignaro dei rischi connessi a certe operazioni di impiego dei suoi risparmi. Ne viene a conoscenza solo quando quei rischi, da potenziali diventano effettivi con la conseguente perdita di tutta o di parte della somma investita. Ma ormai è troppo tardi.
Si ricorre allora al Giudice, invocando quasi sempre, come scusante, lo scarso acculturamento e la conseguente propria incapacità di valutare appieno la rischiosità dell’operazione.
Intanto osserviamo che il contratto di sottoscrizione di prodotti finanziari (obbligazioni, offerte pubbliche di acquisto di azioni, Fondi comuni di Investimento, assicurazioni, etc.) è sempre accompagnato dal Prospetto Informativo, documento nel quale sono chiaramente indicati gli svantaggi dell’operazione, i rischi, gli eventuali conflitti di interesse e anche la possibilità di perdita totale o parziale della somma investita. Il “prospetto” è documento obbligatorio ed è sottoposto al preventivo esame di merito dell’organo di controllo (Consob).
Però è anche vero che è difficile districarsi nella sua lettura, fatta di termini tecnici rivolti a persone iniziate ed informate e che abbiano una solida cultura finanziaria.
Dovrebbe sopperire, in questi casi, la cosiddetta Mifid (Direttiva Europea sui mercati degli strumenti finanziari). La direttiva impone, all’atto della richiesta o proposta di sottoscrizione di un qualsivoglia strumento di investimento finanziario, la compilazione di un questionario fatto di domande mirate rivolte al sottoscrittore. Sulla base delle risposte date, si dovrebbe pervenire, il condizionale è sempre d’obbligo, alla valutazione dell’adeguatezza del risparmiatore a sottoscrivere e/o a investire in strumenti finanziari (cosiddetta valutazione di adeguatezza).
La Mifid, evidentemente, viene osservata con superficialità o completamente disattesa: non si spiegano diversamente i casi di inadeguatezza emersi dai recenti scandali finanziari (Banca Etruria e Banche Venete). L’operatore, il consulente, non dimentichiamolo, ha un budget fissatogli dal suo datore di lavoro (Banca o Organismo Finanziario) e quei prodotti finanziari deve pur venderli. Conclusione: quando si ha una cultura finanziaria inadeguata è preferibile rivolgere l’attenzione verso strumenti finanziari più tradizionali, ancorché meno remunerativi: l’abbaglio dall’alto rendimento potrebbe riservare amare sorprese.
Di seguito non vogliamo occuparci di indottrinamento finanziario, vorremmo piuttosto soffermarci su alcune linee guida da seguire nell’impiego dei propri risparmi, consapevoli come siamo che nessun investimento e che nessuna forma di impiego del risparmio sia esente da rischi.
Anche le più semplici ed apparentemente più sicure operazioni, quali i depositi a risparmio ed i c/c, impattano con BAIL IN nel caso, malaugurato, si dovesse verificare il dissesto della propria banca. Sappiamo difatti che i depositi fino a 100.000 euro sono garantiti dal Fondo di Garanzia sui depositi; gli importi eccedenti sono rimborsati con le risorse patrimoniali residue della Banca o dell’Istituto Finanziario, in caso di loro default (fallimento).
Le obbligazioni bancarie ordinarie trovano copertura solo nel patrimonio della Banca, non esistendo altre sottostanti garanzie.
Un Istituto bancario che opera in Lamezia, espone nei suoi locali, un tabellone elettronico nel quale sono evidenziati l’entità del suo patrimonio e la percentuale di copertura dei depositi, raffrontandoli con quelli del Sistema.
Quella Banca, in altri termini, si sente in dovere di rispondere alla domanda che ogni depositante dovrebbe porsi, dopo l’entrata in vigore del bail in, e precisamente: a chi sto affidando i miei risparmi?
L’impiego dei propri risparmi deve però essere subordinato al rispetto di altri principi, ugualmente importanti. Deve essere innanzitutto atto razionale e consapevole: esso non può e non deve essere frutto di improvvisazione, e la scelta della forma di impiego non può avvenire per sentito dire, ma deve essere effettuata a seguito di un’analisi approfondita delle necessità proprie e della propria famiglia: deve essere, in altri termini un atto pianificato, tenuto conto delle esigenze presenti e future proprie o della famiglia.
Un primo elemento da prendere in considerazione è il tempo, la durata dell’impiego.
Tempo e durata dell’investimento non vengono mai presi in considerazione, eppure costituiscono una componente di rischio tra le più gravi, tanto che si può affermare che più lunga è la durata dell’investimento, maggiori sono i rischi.
Ed è anche valida la correlazione tra tasso di rendimento e rischio, nel senso che maggiore è il rendimento maggiori sono i rischi: difatti i maggiori rendimenti sono, di solito, e in condizioni normali di mercato, riservati alle operazioni di più lunga durata.
Mi spiego con un esempio: il Btp decennale, titolo sicuro perché emesso dallo Stato, ha un rendimento del 2,19%, tra i più alti del mercato finanziario attuale e l’alto rendimento potrebbe orientare la scelta.
Poniamo che dopo due anni dalla data di investimento si abbia urgente bisogno di disponibilità liquide. In questo caso, è necessario disinvestire, se tutti i nostri risparmi siano stati impiegati nell’acquisto del Btp.
Il disinvestimento potrebbe comportare rischi di perdita, se nel frattempo sono variati in aumento i tassi di interesse: il valore (corso) del Btp sottoscritto è diminuito, perché sono stati emessi, successivamente, Btp decennali a tassi più alti.
Il disinvestimento comporta, in questo caso, una perdita secca determinata dalla differenza tra il prezzo di acquisto del BTP (superiore) e quello di vendita(inferiore). Conclusione: l’alta remunerazione, non può essere elemento decisivo di scelta; nel caso ipotizzato è stata anche sbagliata la pianificazione delle necessità familiari, o quanto meno non si è costituito un fondo di riserva al quale attingere immediatamente, per sopravvenute impreviste necessità.
Quest’ultima conclusione ci riporta a quanto abbiamo detto in premessa e cioè che l’operazione di investimento e/o di impiego del risparmio debba essere un atto pianificato, che deve tenere conto, necessariamente, delle esigenze presenti e future proprie e della famiglia, e, soprattutto, tenere nel debito conto anche l’integrità patrimoniale (vedi BAIL IN) dell’ente finanziario cui si affidano i propri soldi.
I piccoli risparmi non possono essere investiti in azioni, in sottoscrizioni di Fondi comuni di investimento azionari con unico versamento, in obbligazioni subordinate, tentati dal miraggio dell’alto rendimento a dall’andamento favorevole di Borsa: bisogna sempre tenere nella giusta considerazione che si tratta di investimenti a rischio, il cui rendimento è sperato… atteso e, quindi, futuro ed incerto.
Diverso è il caso di un piano di accumulo in Fondi di investimento e/o in polizze di risparmio: i versamenti mensili, di piccolo importo, servono a precostituire un capitale da destinare nel lungo periodo ai fini più disparati; e sottolineiamo lungo periodo.
L’indennità di liquidazione per collocamento in pensione non può essere interamente investita in strumenti finanziari a rischio.
Una regola fondamentale è, difatti, quella della diversificazione degli investimenti (del cosiddetto paniere) che impone, a seconda delle esigenze familiari, impieghi a breve, a più lungo termine e, solo per la parte residua, ad investimenti a rischio e a rendimento futuro ed incerto.
Ci rendiamo conto che le cose fin qui dette sono ovvie: purtuttavia gli scandali finanziari sono all’ordine del giorno e quasi tutti evidenziano perdite dolorose ai danni dei risparmiatori, vuoi per dabbenaggine, vuoi per disinformazione.
Abbiamo anche visto che le leggi di tutela esistono, ma non siamo tanto convinti della loro efficacia: la Mifid, ad esempio, che dovrebbe valutare l’adeguatezza del sottoscrittore, è subordinata alle conclusioni cui potrebbe giungere, in modo errato, l’operatore.
Pertanto la tutela opera non tanto a priori, ma, ove possibile, quando il danno è bell’e servito.
Ci sentiamo pertanto di concludere che bisogna diffidare da quegli strumenti finanziari che non si conoscono, ma che si sottoscrivono perché abbagliati dallo sperato loro alto rendimento.
Se si vuole scommettere, perché dotati di grossi mezzi finanziari, lo si faccia pure.
Ma chi ha disponibilità di grandi mezzi finanziari ha anche cultura finanziaria e capacità di discernimento.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Vittorio Moietta Onlus
Risparmi, investimenti e prestiti: istruzioni per l’uso (“il Lametino” n. 236 – Settembre 2017)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 236 – Settembre 2017, col sottotitolo: Dissesto bancario e relativi danni agli investitori)
Il dissesto di alcune banche italiane ha portato alla ribalta, in tutta la loro drammaticità, problemi prima inesistenti e che riguardano l’integrità dei depositi e degli investimenti in obbligazioni bancarie. Difatti, le nuove direttive Europee hanno introdotto il bail in bancario, espressione inglese che significa risoluzione all’interno, secondo il quale le Banche rispondono per gli impegni assunti con la loro clientela (leggasi: conti correnti, depositi, obbligazioni di loro emissione, azioni), nei limiti del proprio patrimonio. Il principio nuovo sovverte la prassi precedentemente in uso in tutti i paesi, con regole non scritte ma sempre attuate: per evitare che i depositanti perdessero i depositi affidati alla banca in crisi si procedeva al salvataggio della medesima mediante, fusioni, incorporazioni e, alcune volte, con aiuti di Stato. I salvataggi, venivano effettuati coi soldi dei contribuenti, ma si giustificavano con motivazioni di interesse generale: i salvataggi, si diceva, erano necessari per non turbare l’equilibrio del sistema dei pagamenti, e per il regolare andamento del mercato finanziario.
Oggi, l’unica difesa dei risparmiatori è costituita, oltre che dal patrimonio della Banca, dal Fondo di garanzia dei depositi: il Fondo, in caso di crisi dell’Istituto di credito, garantisce tutti i depositi fino alla concorrenza di € 100.000. Gli importi di entità superiore non hanno nessuna tutela e le eventuali perdite sono sostenute, in definitiva dal depositante.
Il mutato quadro istituzionale comporta maggiori conoscenze e maggiori responsabilità dell’utente bancario e finanziario, il quale dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, essere informato non solo sulle tipologie dei propri investimenti, ma anche sulle condizioni economico-patrimoniali della Banca o dell’istituzione finanziaria alla quale si affida.
La cultura Finanziaria è detta in inglese financial literacy, ed il termine literacy sta per cultura, alfabetizzazione. Esiste un organismo internazionale Financial Literacy Around the World (traduzione in italiano: cultura finanziaria nel mondo), che conduce ricerche e statistiche sulla conoscenza finanziaria nei vari paesi.
Un suo studio recente stima che soltanto il 37% degli italiani abbia una cultura finanziaria adeguata e il nostro Paese occupa uno degli ultimi posti della graduatoria internazionale, superata da Spagna, Tunisia, Zimbabwe, Senegal, Tanzania, Zambia e Camerun. Nei paesi più virtuosi del mondo occidentale, la conoscenza adeguata si attesta intorno al 70% dei cittadini.
Un recentissimo studio, del 2016, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, dimostra che la cultura finanziaria degli italiani sia molto scarsa. Scendendo nei dettagli lo studio rileva che:
– Solo 6 correntisti su 10 è in grado di identificare, leggendo il suo estratto conto, il saldo del proprio conto corrente e il 66% non conosce l’impatto che ha sulla rata la scelta di un mutuo a seconda che il tasso fisso o variabile;
– solo un italiano su quattro (25%) ha dato risposte esatte sul funzionamento del mercato obbligazionario e di quello azionario.
Le due indagini danno una rappresentazione quanto meno sconcertante; eppure nel nostro Paese allorché si verifica uno scandalo che coinvolge banche e depositanti, si levano le grida
contro lo strapotere di Banche e Finanziarie e non ci si preoccupa che forse sarebbe più opportuno colmare il deficit di conoscenza che le indagini riferite evidenziano. Questi deficit costituiscono, quasi sempre la causa principale della perdita totale o parziale dell’investimento nel caso l’utente rivesta la figura del risparmiatore o dell’investitore, o del sovra-indebitamento, nel caso rivesta la figura del richiedente prestiti o mutuatario.
Il risparmiatore-investitore è assillato da un unico problema: il rendimento. E quindi è spinto a scegliere l’investimento col più alto tasso di rendimento.
Orbene, allorché l’investimento è del tutto legale, non si tiene conto di un fatto: che più alto è il rendimento, più alti sono i rischi. Tra i rischi non bisogna considerare solo quelli di perdita del capitale, ma anche la durata dell’investimento. Gli investimenti di lunga durata non possono essere liquidati, in caso di urgente necessità, con facilità, anzi…la liquidazione immediata potrebbe comportare delle perdite non indifferenti.
Chi ha cultura finanziaria è capace di discernere, chi non ha cultura finanziaria è abbagliato dal miraggio dell’alto rendimento che potrebbe riuscirgli fatale.
Non c’è bisogno di citare il recente caso delle banche Venete e delle sottoscrizioni delle obbligazioni subordinate, così chiamate perché vengono rimborsate, in caso di dissesto della Banca emittente, col residuo eventuale seguito al riparto del capitale sociale, ma che promettevano alti tassi di rendimento.
Quella Banche sono andate in dissesto, il capitale sociale si è azzerato e, di conseguenza, anche quello delle obbligazioni subordinate.
E’ stato promesso l’intervento dello Stato, non si sa in quale misura, né quando.
Però, nel prospetto di sottoscrizione, erano indicati i rischi dell’operazione: sarà difficile per molti sottoscrittori alfabeti, dimostrare che sono stati truffati.
La cronaca, anche quella locale, con puntualità ci informa di truffe perpetrate ai danni di risparmiatori, sprovveduti quanto si vuole, ma con grossi deficit di cultura finanziaria.
Perché si danno in gestione o in deposito somme anche ingenti, al consulente di turno?
Perché, allettati dalle promesse di alti rendimenti.
Possibile che nessuno di quei depositanti abbia pensato che quegli interessi fossero fuori mercato, attesi i rendimenti negativi dei bot, il tasso zero dei c/c, il tasso dell’1% dei depositi vincolati e il tasso del 2% circa per i BTP con durata decennale?
Le ragioni sono sempre le stesse: deficit di cultura finanziaria e abbaglio di alti rendimenti.
I risparmi che sono il frutto di enormi sacrifici e che dovrebbero garantire un sereno avvenire alla nostra famiglia e ai nostri figli dovrebbero essere trattati con maggiore serietà e con migliore avvedutezza.
Analoghe considerazioni possono essere anche fatte quando il soggetto riveste la figura del prenditore di danaro: quando cioè richiede un prestito a Banche e/o ad Organismi finanziari.
I prestiti, molto spesso, vengono richiesti non sulla base di pianificate e meditate esigenze familiari, ma, quasi sempre, per urgenti necessità sopravvenute e la trattativa banca-prenditore si basa essenzialmente sui seguenti elementi: l’entità della somma del prestito e l’ammontare della rata di ammortamento.
Acquisiti questi due dati, si procede alla stipula del contratto di finanziamento, rimettendosi nelle mani di Banca o Finanziaria.
La nostra esperienza di operatori impegnati nella prevenzione del fenomeno usuraio, ci ha insegnato che la facile concessione di crediti da parte di Banche e Finanziarie, favorisce la indiscriminata richiesta di prestiti. Essa avviene, quasi sempre, senza un minimo di pianificazione e di informazione finanziaria, entrambe necessarie non solo ad orientare la scelta della forma tecnica del prestito più idoneo alle proprie necessità, ma anche senza la minima conoscenza delle altre condizioni che regolano il prestito, quali i tassi ed i costi aggiuntivi. Ne consegue che le forme più diffuse di indebitamento sono la cessione del quinto dello stipendio, la delega e l’immarcescibile credito revolving. Questo, per le sue facili modalità di utilizzo e per la possibilità di restituire ratealmente la somma prelevata, viene usato indiscriminatamente e senza considerare che, unitamente al prestito con cessione del quinto dello stipendio e la delega, sono le forme più costose di indebitamento: i tassi di regolamento, sono superiori al 16%, per il revolving, e superiori all’ 11% per cessione e delega.
Per quanto ovvio, le banche e le finanziarie, che operano nella sola logica del profitto, orientano il richiedente verso tali forme di indebitamento, oggettivamente più onerose.
Il richiedente, non avendo fatto a monte nessuna pianificazione, sottoscrive il prestito, non scelto da lui, ma consigliato da Banche e Finanziarie, pressato, tra l’altro, dall’urgente bisogno di danaro liquido.
Nel nostro lavoro quotidiano riscontriamo numerosi casi di sovra-indebitamento dovuti a cessioni del quinto, deleghe bancarie, carte revolving, mutui chirografari e scoperti di c/c, che quasi sempre risolviamo con la concessione di mutui ipotecari.
Perché il ricorso al mutuo ipotecario non è stato proposto dalla banca creditrice?
La risposta è semplice: perché sono più laboriosi delle altre concessioni di credito e perché regolati da tassi pari alla metà di quelli degli altri prestiti.
Concludiamo: non si può essere, a seconda delle circostanze, sprovveduti risparmiatori o superficiali richiedenti di prestiti. Né si possono demandare ad altri – Banche, Finanziarie, Consulenti finanziari etc. – scelte di così grave importanza.
Le parti, Banca e cliente, sia che intervengano in un contratto di deposito e/o di investimento, sia in un contratto di prestito, sono portatori di interessi contrapposti in quanto ognuna tende al proprio differente tornaconto. Gli interessi contrapposti si conciliano se esista un effettivo e necessario confronto tra di loro: il cliente deve avere, pertanto, idee chiare delle proprie esigenze e conoscenze finanziarie. Quest’ultima necessaria ad evitare gli “intoppi”, chiamiamoli così, dei quali è lastricata sia la strada degli investimenti che quella dei prestiti.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Moietta Onlus
Usura: esame di alcuni aspetti civilistici (“il Lametino” n. 234 – Maggio 2017)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 234 – Maggio 2017, col sottotitolo: La legge Antiusura andrebbe rivista e aggiornata)
La legge antiusura (L. 108/96), fissa il limite, cosiddetto tasso soglia usura, oltre il quale il tasso di regolamento di un prestito è usuraio.
L’art. 1815 del C.C. così dispone: “Se sono convenuti interessi usurai la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.”
Ne consegue che il contratto di prestito e/o di mutuo, in presenza di interessi convenuti in misura superiore al tasso soglia usura e perciò usurai, si trasforma in contratto a titolo gratuito: si restituisce il solo capitale attesa la nullità degli interessi pattuiti.
Stabilire il momento in cui vengono pattuiti i tassi usurai è elemento importante: il dispositivo dell’art. 1815, difatti, si applica nei casi in cui l’usura è originaria, quando cioè il patto usuraio è concomitante alla stipula del contratto.
La legge indica la procedura per la determinazione dei tassi soglia usura. Il calcolo tiene conto di alcune figure di tasso, che è utile conoscere, e precisamente: il Taeg (tasso annuo effettivo globale) ed il TEGM (tasso effettivo medio globale).
Il primo, il Taeg, esprime il costo effettivo dell’operazione: esso è comprensivo del Tan (tasso annuo nominale) e di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, reclamate da Banche e/o finanziarie per la fruizione del prestito, escluse quelle per imposte e tasse. Le spese di assicurazione e di istruttoria sono comprese in quelle che concorrono alla formazione del tasso.
Il Taeg deve essere indicato, per trasparenza, in tutti i contratti di prestito.
Il Tegm è la media dei TAEG applicati dal mercato finanziario a ciascuna tipologia di operazione, distinta anche per classe di importo (prestiti personali, mutui, carte revolving, cessioni del quinto, deleghe di pagamento, etc.).
Il tasso soglia usura, infine, si determina aumentando il Tegm di ¼, con l’aggiunta di ulteriori quattro punti.
I tassi superiori sono usurai: è questa la cosiddetta usura oggettiva, determinata cioè da elemento obiettivo qual è il tasso soglia.
La rilevazione dei tassi medi (Tegm) e dei tassi soglia usura è effettuata da
Banca d’Italia e pubblicata trimestralmente con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Esempio: il tasso medio (Tegm) per i crediti personali rilevati per il trimestre corrente (1° aprile-30 giugno 2017) è pari al 10,37%. Il tasso soglia si calcola:
10,37 + (1/4 di 10,37) + 4 = 10,37+ 2,5925+4= 16,9625.
Anteriormente, dall’entrata in vigore della legge Antiusura (24.3.1996) e fino a tutto il 2° trimestre 2011, il calcolo veniva effettuato, aumentando il tasso medio della sua metà.
La nuova procedura di calcolo, che in media fa lievitare i tassi soglia di due punti, è applicata a decorrere dal 3° trimestre 2011. La revisione, invocata dalle Banche, trova, a loro dire, giustificazione nel fatto che i continui ribassi dei tassi di interessi, avrebbero determinato l’illegalità dei tassi fissi, validamente fissati alla stipula del contratto, per usura sopravvenuta, con riguardo ai contratti di media e lunga durata (mutui).
Torniamo all’esame dei tassi usurai. Si potrebbe verificare, che il tasso di regolamento di un prestito al consumo, il cui tasso soglia -nell’esempio proposto 16,925%- sia leggermente inferiore, mettiamo del 16,50%.
Esso, in quanto inferiore al tasso soglia, non sarebbe usuraio, ma un tasso che si discosta di ben 6,13 punti (16,50-10,37) da quello in media praticato dal Sistema è da considerare quantomeno anomalo.
Il 3° comma dell’art. 644 C.P. prende in considerazione questi casi: quelli in cui il divario tra tasso medio praticato dal Sistema e tasso corrispettivo pagato dal debitore sia eccessivo. Si potrebbe verificare, in altri termini, che la promessa di interessi, a tasso superiore a quello medio, derivi da difficoltà economiche e finanziarie del debitore e che il creditore ne abbia approfittato. In concreto il debitore è costretto a pagare tassi superiori ed è sottoposto ad usura vera e propria, detta, appunto, usura soggettiva o in concreto. La sussistenza delle circostanze che determinano l’usura soggettiva (difficoltà del debitore ed approfittamento del creditore) è azione demandata alla valutazione esclusiva del giudice.
L’usura può essere sopravvenuta: è il caso in cui il tasso di interesse non è
usuraio alla stipula del contratto (usura originaria), ma lo divenga in epoca
successiva (sentenza della Suprema Corte dell’11 -1- 2013 n. 602).
L’ipotesi, già evidenziata, potrebbe riguardare i contratti di durata regolati a tasso fisso, in situazione di tassi calanti quale è quella attuale.
L’usura sopravvenuta, a differenza di quella originaria nella quale la pattuizione è nulla, comporta solo la rideterminazione del tasso originario, adeguandolo, periodo per periodo, al nuovo tasso soglia.
Eventuali interessi calcolati nella misura eccedente, non sono dovuti.
Altro aspetto importante da esaminare è quello relativo agli interessi di mora, pagati in aggiunta agli interessi corrispettivi in caso di ritardato pagamento delle rate o del prestito. La Sentenza della Suprema Corte che ha sancito la rilevanza degli interessi moratori ai fini dell’usura, è stata interpretata da taluni nel senso che la semplice somma dei due tassi (corrispettivo + moratorio) se superiore al tasso soglia, determinasse la nullità della pattuizione. Dopo più attento esame, prevalse e prevale la tesi che i due tassi vanno sottoposti ad esame separato, sia per la natura risarcitoria degli interessi di mora e sia, soprattutto, perché la loro corresponsione è eventuale: dovuti solo in caso di ritardato adempimento.
Il problema è tuttora irrisolto. Il diritto vivente, quello che trova applicazione nelle sentenze dei giudici, ritiene che gli interessi di mora siano rilevanti ai fini dell’usura, ma non determina il limite oltre il quale essi siano usurai. Vigerebbe, secondo taluni, la regola del 2,1%, nel senso che superando tale limite gli interessi di mora sarebbero usurai. Il limite è rappresentato dal tasso medio degli interessi di mora applicato dal Sistema e rilevato da Banca d’Italia in un’indagine condotta nel 2002 e mai aggiornata.
Si può proporre giudizio per usura del tasso di mora, basandosi su una rilevazione, sia pure autorevole, però non recepita dal legislatore?
La domanda esprime perplessità evidenti.
Concludendo: i problemi irrisolti, i giudizi contrastanti dei vari Tribunali, su casi analoghi riguardanti l’usura, quasi sempre oggetto di ricorso in Cassazione, determinano lungaggine dei processi e incertezze non favorevoli alla repressione del delitto.
Forse, la Legge Antiusura andrebbe rivista ed aggiornata, anche alla luce della copiosa giurisprudenza acquisita.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Moietta Onlus
Prevenire il ricorso all’usura (“Il Lametino” n. 233 – Aprile 2017)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 233 – Aprile 2017, col sottotitolo: Interventi e finalità operative della fondazione antiusura monsignor Vittorio Moietta onlus)
Le Fondazioni sono nate per prevenire il ricorso all’usura; in particolare, aiutano il debitore a superare la situazione di estremo pericolo che si presenta tutte le volte che egli non sia più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni. Il soggetto oberato dai debiti è escluso difatti dal Sistema Finanziario, essendogli interdetto il ricorso al mercato legale del credito. Questo stato di interdizione, conosciuto come esclusione finanziaria, innesca uno stato di estremo pericolo che potrebbe indurre il debitore a rivolgersi all’usura come unica alternativa alla soluzione dei problemi derivanti dal suo dissesto finanziario e salvare (sic!) il patrimonio residuo.
Il compito delle Fondazioni è diretto a rimuovere quella situazione di pericolo mediante un’azione di supplenza: mettere nelle condizioni il Sistema Finanziario di concedere credito al debitore escluso, garantendo col Fondo Antiusura di loro dotazione il buon esito dell’operazione.
Il credito è mirato non solo alla eliminazione dello stato di pericolo di cadere sotto usura, ma anche alla rimozione della crisi di sovra-indebitamento. Scopo finale è, dunque, il recupero del debitore, che affrancato, è messo nelle condizioni di poter agire in modo indipendente ed autonomo, in un futuro più o meno prossimo (cosiddetta “ribancarizzazione” dei protestati).
Il percorso, che dalla situazione di sovra-indebitamento porta alla ricomposizione dello stato passivo ed alla soluzione della crisi del debitore, è lungo, difficile e laborioso; è un percorso ad ostacoli e per superarli occorrono non solo volontà e tenacia, ma anche professionalità, quest’ultima necessaria a vedere chiaro sia nelle situazioni oggetto di esame e di studio, sia a trovare le soluzioni più idonee. Di seguito, esponiamo le fasi di questo percorso affinché possa risultare più chiaro il messaggio che si vuole tramettere con la presente informativa, rivolto a soggetti eventualmente interessati. La prima fase è ricognitiva, diretta cioè alla conoscenza dei problemi e inizia con uno o più colloqui, assolutamente riservati, presente il solo debitore e congiunti interessati, diretti sia alla individuazione di tutti i debiti, nessuno escluso, sia a stabilire, con franchezza, le cause, che hanno determinato la situazione di dissesto.
L’esatta ricognizione dello stato passivo è necessaria, tra l’altro, a definire la misura e le modalità dell’intervento della Fondazione
La conoscenza delle motivazioni ha il fine di appurare i comportamenti del debitore: lo scialacquatore, il giocatore d’azzardo, non meritano l’aiuto della Fondazione. Lo merita, chi si sia indebitato per necessità serie e contingenti; familiari, di salute, perdita o riduzione momentanea del lavoro, etc.
L’esame delle motivazioni vuole appurare se il debitore, presa coscienza della gravità della sua situazione, mostri barlumi di responsabilità che lascino sperare in suoi comportamenti futuri più consapevoli.
Accertata l’entità delle esposizioni, si avvia il lungo processo di “ricomposizione” o di riduzione dello stato passivo del debitore. Esso consiste nel tentativo di concludere coi creditori accordi diretti alla riduzione delle loro ragioni di credito (pagamenti a “saldo e stralcio”) in considerazione dell’entità del sovra-indebitamento e della crisi di solvibilità del debitore. C’è chi vede in questa attività della Fondazione un tentativo ricattatorio di spoliazione dei diritti di credito di Banche e Finanziarie e una surrettizia istigazione a delinquere. Noi siamo di avviso contrario e lo è anche la legge 3/2012, riguardante l’esdebitazione totale dell’imprenditore.
La crisi di sovra-indebitamento che la Fondazione è chiamata a risolvere è una situazione di fatto: essa è rappresentata dall’esistenza di un debitore chiamato a far fronte ad una pluralità di debiti; in altri termini, se è vero che esistono debitori che dissennatamente contraggono prestiti, è altrettanto vero che ci sono Banche e/o Finanziarie disposte a concederli. Queste con professionalità dovrebbero valutare il rischio di insolvenza del debitore in presenza di fatti conosciuti o conoscibili e cioè: l’indebitamento pregresso e in atto, rilevabile dalle varie centrali dei rischi (CRIF); le sue potenzialità economiche, rilevabili dalla certificazione dei redditi e dalla sua dotazione patrimoniale. Acquisiti i dati si valuta se concedere o rifiutare il prestito.
Ma se la Fondazione, constata che il sovra-indebitamento è determinato, in media, da quattro a più debiti diversi riferibili ad altrettanti differenti Istituzioni creditizie e/o Finanziarie, il tentativo di ricomposizione (riduzione) dell’indebitamento è azione non solo legittima, ma anche morale avverso comportamenti distorsivi perpetrati ai danni del debitore.
Infine, i tentativi di “ricomposizione”, i concordati, tutto sommato, convengono a Banche e Finanziarie: i pagamenti a “saldo e stralcio” difatti
consentono recuperi parziali di crediti, votati a sicura e totale insolvenza.
La Conclusione del concordato remissorio è difficile e impegnativa: le proposte devono essere redatte in modo convincente e professionale.
Ridotto o ricomposto lo stato passivo, si passa alla fase ultima: alla esdebitazione totale mediante prestito, erogato da Banca Convenzionata, finalizzato alla eliminazione totale dei debiti, tramite bonifici a favore dei creditori. I tassi sono “molto agevolati” perché il buon esito di tutti i prestiti è garantito dal Fondo Antiusura.
Inoltre:
-le rate di ammortamento devono essere sopportabili, sostenibili cioè dal reddito del debitore: per diminuirne l’importo si ricorre alla diluizione della durata del prestito prevista da un minimo di 60 a un massimo di 180 mesi.;
-I prestiti possono essere chirografari- concessi con sole garanzie personali- o ipotecari. L’importo massimo è di € 100.000, o di poco superiore.;
-Destinatari sono i privati, le famiglie consumatrici, ma anche le imprese, se il mantenimento della famiglia è legata agli esiti dell’attività di un’impresa.
Last but not least, ultimo ma non meno importante: la Fondazione è gestita da volontari, ex bancari, e svolge la sua attività, anche quella di consulenza, in modo assolutamente gratuito. Essa rivendica, inoltre, la sua origine ecclesiale, essendo sorta col fine di prestare aiuto ai fratelli bisognosi e rendere operante il messaggio evangelico: “fate questo in memoria di me”. Le spese di gestione sono rimborsate dal MEF (Ministero dell’Econ. e delle Fin.). Le precisazioni ci sono sembrate opportune, nel bailamme di iniziative di sedicenti associazioni di difesa del consumatore, o di Studi specializzati, nati con la Legge 3/2012, che offrono consulenze miracolistiche, ma ben retribuite, dirette ad evitare gli effetti nefasti del sovra-indebitamento.
A chiusura, diamo notizia delle attività più salienti della Fondazione:
-il Fondo di garanzia, alimentato da fondi statali ex Legge 108/96, ascende ad € 2.400.000; per il moltiplicare 1-2 pattuito per Convenzione con le Banche, si possono concedere prestiti fino alla concorrenza di € 4.800.000.;
-il Fondo è impegnato per € 2.700.000. Il margine residuo di operatività, tenuto conto della garanzia media (80%) e del rientro dei prestiti è, quindi, di € 2.100.000. Il totale dei prestiti finora erogati, ascende ad € 5.500.000.;
-I Fondi statali, sono erogati con apprezzabile puntualità e ciò fa ben sperare nell’attività futura della Fondazione.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Moietta Onlus
Crisi di sovra-indebitamento ed esclusione finanziaria (“il Lametino” n. 232 – Marzo 2017)
(Pubblicato su “il Lametino” n. 232 – Marzo 2017, col sottotitolo: Contrarre un debito deve essere atto razionale e responsabile)
Le motivazioni che inducono a contrarre un debito sono numerose, quanto numerosi ed infiniti sono i bisogni che si vogliano soddisfare; non si dispone nell’immediato della somma necessaria ad acquistare un bene o servizio, ma si può rimandarne il pagamento, ratealizzandolo nel tempo.
I debiti assunti, però, devono essere pagati: onorare gli impegni, si dice, e l’espressione ha precisi sottintesi, riferibili non solo alla solvibilità del debitore ma anche ai suoi comportamenti etici e morali.
Contrarre un debito, in altri termini, deve essere atto razionale e responsabile: è razionale se sia stata esaminata la necessità di indebitarsi, se il bisogno o i bisogni da soddisfare siano cioè necessari, ed è responsabile se siano state valutate le proprie capacità di rimborso, la propria solvibilità.
Il principio, per altro ovvio, nei comportamenti reali è spesso disatteso, con la conseguenza che il peso dei debiti può diventare insostenibile: più specificatamente, quando l’impegno per rate di ammortamento di debiti è superiore alle risorse disponibili, di reddito prima e patrimoniali dopo, si verifica quella situazione che viene denominata crisi di sovra-indebitamento.
Non è nostra intenzione addentraci nelle pulsioni –così vengono definiti i comportamenti inconsapevoli- che causano quella crisi: ne rileviamo soltanto gli aspetti generali o generalizzati e le conseguenze.
In quanto ai comportamenti le statistiche ci dicono che un terzo del totale dei prestiti con cessione del quinto dello stipendio e dei crediti al consumo, quantificabile in importo superiore a 40 miliardi di Euro, ha come motivazione “il desiderio di poter disporre di maggiori disponibilità liquide”. I debiti sono contratti, cioè, non tanto per soddisfare bisogni necessari, ma impiegati nella soddisfazione di esigenze più generali e non meglio identificate, alle quali si provvede con le cresciute disponibilità.
Il bisogno di maggiore liquidità dà, in definitiva, l’illusoria consapevolezza di essere, almeno nell’immediato, più ricchi, di avere cioè a disposizione più mezzi da destinare al soddisfacimento di qualsiasi bisogno, anche inutile e superfluo; è la filosofia del consumismo che ha imperversato negli ultimi anni del secolo scorso, favorita dalla proliferazione delle agenzie finanziarie.
La pubblicità dell’offerta di prestiti è asfissiante, ma anche suggestiva ed ammiccante (“basta un giorno”, è lo slogan di una nota Finanziaria e ce n’è un’altra che incalza “siamo aperti anche di sabato”).
Indebitarsi è facile; ma … questa opportunità quanto incide, ad esempio, sulla proliferazione del gioco d’azzardo, altra piaga sociale, peggiore del consumismo, salita da qualche anno alla ribalta, il cui giro d’affari annuo ha superato i 96 miliardi di Euro?
I crediti “facili” ai quali si ricorre solo per un generico bisogno di liquidità, sono la causa principale del sovra-indebitamento delle famiglie e degli effetti devastanti che esso produce: la cessazione dei pagamenti per mancanza di risorse, a cui segue l’inevitabile ricorso alle procedure di recupero da parte dei creditori ed alla conseguente confisca, se esiste, del patrimonio del debitore. Questi, inoltre è escluso dal Sistema Finanziario (cosiddetta esclusione finanziaria), perché Banche e Finanziarie gli negano l’accesso al credito.
La perversa spirale appena descritta ha come convergenza obbligata il ricorso al mercato illegale del credito, eufemismo creato per indicare il mercato dell’usura.
Ci rendiamo conto che queste nostre considerazioni sull’offerta di credito e sul facile accesso all’indebitamento, potrebbero rivelarsi solo delle illazioni, prive di qualsiasi fondamento. Purtroppo esse trovano conferma in tutti i casi di crisi finanziaria sottoposti all’attenzione della nostra Fondazione cui ci si rivolge per evitare gli sbocchi traumatici della crisi, identificabili nella perdita del patrimonio, o nel ricorso all’usura.
Tutti i casi di sovra-indebitamento, più o meno gravi, che abbiamo esaminato (e sono ormai migliaia), presentano, con sorprendente costanza e ripetitività, le seguenti anomalie:
– l’esistenza, in media, di quattro posizioni debitorie in testa a due, tre Istituzioni Finanziarie diverse. Abbiamo anche esaminato casi con 10-11 posizioni debitorie diverse, riferite a 7-8 differenti Finanziarie;
– in tutte le crisi di sovra-indebitamento si riscontra che l’ammontare degli impegni per pagamento di rate è superiore o uguale al reddito familiare.
Una notazione a parte merita la carta revolving (credito rotativo che si ripristina automaticamente, man mano che viene decurtato).
Il credito rotativo o revolving è presente nella generalità dei casi esaminati.
Esso si presenta come credito aggiuntivo, concesso non certo per magnanimità, ma per ragioni strumentali di utilità esclusiva del creditore.
Difatti, non appena si avvertono i primi affanni nel pagamento delle rate dei debiti, si utilizza il credito revolving per dare, appunto, un’apparente parvenza di puntualità ai pagamenti; il credito moroso comporterebbe una sua svalutazione e danni economici per il creditore.
Il peso dei debiti, però, non diminuisce; si paga con un altro debito e il (falso) rimedio è peggiore del male perché i tassi d’interesse dei crediti revolving sono doppi rispetto a quelli degli altri prestiti ed aumentano, di fatto, l’indebitamento complessivo.
In questo contesto, il richiamo alla responsabilità del debitore è più impellente che mai; diventa assai difficile resistere agli indebitamenti disinvolti ed è facile trovare giustificazioni con falsi alibi, quali: “così fanno tutti” o “ai miei figli non deve mancare ciò di cui io mi sono dovuto privare” o, ancora: “tanto le rate sono piccole e si possono pagare”, etc.: sono false motivazioni dietro le quali si celano comportamenti irrazionali.
Nel tranello della “piccola rata” ad esempio, cadono sia i debitori che i creditori: non si considera che la somma di tante piccole rate forma una grossa rata, spesso insostenibile.
La logica del Sistema Finanziario Istituzionale in generale e delle agenzie o negozi finanziari in particolare, è quella del profitto: più numerose sono le concessioni di credito, maggiori sono i guadagni e le provvigioni; i volumi e gli alti tassi d’interesse coprono, in definitiva, eventuali insolvenze.
La cosiddetta difesa del consumatore si esplica per altre vie e non prevede, nonostante gli indicatori (Centrale dei rischi, Crif, dichiarazione dei redditi e quant’altro), una tutela, una remora, contro le eccessive concessioni di credito, all’infuori del richiamo generale a Banche e Finanziarie di una “prudente gestione del credito”.
Il nostro Ordinamento Giuridico, con la legge fallimentare, sottopone a revocatoria solo gli affidamenti eccessivi a favore di imprenditori e di imprese.
Per i prestiti a favore di privati, di famiglie consumatrici, l’unica remora dovrebbe essere costituita – il condizionale è d’obbligo – dal rischio d’insolvenza del debitore.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione Antiusura Monsignor Moietta Onlus
L’usura questa sconosciuta (“il Lametino” n. 231 – Febbraio 2017)
(Pubblicato su “Il Lametino” n. 231 – Febbraio 2017, col sottotitolo: fenomeno di destabilizzazione sociale)
L’usura, non provoca nessuna emozione, né sentimenti di particolare avversione: di essa si parla con lievità, con leggerezza quasi fosse un peccatuccio da niente e una prassi in uso nello svolgimento degli affari.
Ha, inoltre, scarso appeal mediatico: desta interesse solo quando si accompagna, a fatti cruenti quale il suicidio dell’usurato, o a fatti di violenza quali il racket e l’estorsione, o se vi siano coinvolti noti personaggi.
Cessato il clamore mediatico, ricade nel disinteresse generale.
Eppure l’usura è atto di sopraffazione e di violenza perché è un reato perpetrato ai danni di soggetti deboli e bisognosi.
Se, poi, è praticata da organizzazioni criminali, è fenomeno di vera e propria destabilizzazione sociale. Innanzitutto perché costituisce un’ingente fonte di guadagni che permette alla criminalità di diventare sempre più forte e pervasiva e, inoltre, perché è attività che consente il riciclaggio di danaro di provenienza illecita (traffico di stupefacenti, racket, estorsione).
Infine, è da considerare che lo scopo finale dell’usura praticata dalla criminalità è quello di impossessarsi dei beni dell’usurato; e quando vittima dell’usura è un imprenditore, l’organizzazione criminale diventa prima sua socia occulta e poi proprietaria dell’impresa.
Usura e criminalità organizzata costituiscono, quindi, una miscela esplosiva ad alto potenziale, che può minare e sconvolgere le basi del vivere civile: l’uso della violenza e della coercizione, da parte della criminalità organizzata, difatti, fanno assumere al fenomeno usuraio un vero e proprio controllo dell’economia e del territorio.
Essa perde la connotazione di reato perpetrato solo ai danni della vittima e assume quella di reato contro la Collettività.
Nella nostra Città sono presenti sia la criminalità che la pratica dell’usura. Con riferimento a quest’ultima, la città di Lamezia vanta consolidate tradizioni: i cittadini di età adulta ricordiamo le famose “botteghe usuraie” che praticavano l’usura alla “luce del sole”.
Ho virgolettato perché l’espressione non è mia, ma l’ho letta nel resoconto di un’intervista ad un operatore di giustizia, riportato da un giornale locale in data piuttosto recente.
Purtuttavia, nel sentire comune, la pratica dell’usura continua ad essere considerata un crimine di scarsa rilevanza sociale.
Di sicuro, contribuisce alla diffusione di questo comune intendimento il fatto che l’usura è un reato ambiguo: l’atto di violenza criminale sottostante al fenomeno usuraio, cioè, è quasi sempre simulato, “vestito con uno schema negoziale di diritto bancario o commerciale”.
Di recente, l’EURISPES si è occupato del fenomeno dell’usura in Italia in due rapporti dai titoli inquietanti: “L’Italia incravattata” e “L’usura: quando il credito è in nero”, dai quali emergono i dati seguenti:
– il giro d’affari annuo dell’usura in Italia ammonta a 82 miliardi (35 per prestiti e 47 per interessi);
-il tasso d’interesse medio praticato dagli usurai è del 110%;
-ricorrono all’usura il 12% delle famiglie e il 10% delle imprese;
-l’usura è diffusa in tutte le province italiane escluse alcune nelle quali il fenomeno è marginale o di scarsa rilevanza (Aosta, Trento e Bolzano);
– le province del meridione d’Italia, sono quelle più esposte e le province Calabre occupano, in questa triste graduatoria, i primi posti.
Le rilevazioni si riferiscono all’usura privata: i “Rapporti” trattano separatamente della cosiddetta usura bancaria.
I dati esposti sono molto eloquenti; merita però qualche considerazione quello che esprime il giro d’affari dell’usura, pari a 82 miliardi di Euro.
L’importo assume particolare rilevanza se paragonato ad alcune transazioni che avvengono nel mercato ufficiale del credito: l’ammontare dei crediti al consumo in Italia ascende all’incirca a 100 miliardi e il flusso delle transazioni annuali (nuove concessioni) a circa 50 miliardi.
Pur in presenza di questi dati, il fenomeno non emerge: le denunzie dei reati di usura sono sparute e certamente non proporzionate alla diffusione del fenomeno.
Non traggano in inganno le denunzie avverso il reato di usura bancaria; è facile aggredire una banca. Essa certamente non ricorre a ritorsioni e a minacce di violenza fisica, presenti invece nell’usura privata, che, pertanto, pur essendo la più diffusa, non emerge.
La mancata emersione è però fenomeno più complesso; esistono altri motivi che lo condizionano tanto è vero che l’usura è definita “reato silenzioso”.
Innanzitutto: la vittima dell’usura, è portata, per contorti meccanismi mentali, a nutrire sentimenti di riconoscenza nei confronti del suo aguzzino: amore della vittima verso il suo aguzzino, o sindrome di Stoccolma.
Altre cause, sono da ricercare nella lungaggine dei processi per usura e nella vigente legislazione, che va sicuramente rivista ed aggiornata.
La durata dei processi per usura supera i dieci-quindici anni: emblematico è il caso dell’imprenditore reggino De Masi che nel 2003 denunziò per usura 4 grandi istituti di credito e, ad oggi, il processo non si è ancora concluso.
Durante il lungo periodo dello svolgimento del processo, l’usurato, oltre ai danni subiti dall’usura deve sopportare danni aggiuntivi.
Questi derivano, in generale, dalle minacce e dalle ritorsioni dei denunciati, e in particolare, dall’ostracismo delle Banche, quando sono loro ad essere denunciate che si estrinseca nel blocco dei conti e nella revoca dei fidi, paralizzando di fatto l’attività dell’impresa.
Conclusione: le vittime dell’usura, in un sistema con scarse e inadeguate tutele, preferiscono soffrire in silenzio e si guardano bene dal denunziare i loro aguzzini.
Non c’è dunque scampo all’usura?
Noi operatori delle Fondazioni Antiusura crediamo che il fenomeno possa essere arginato… che senso avrebbe sennò il nostro impegno quotidiano nella prevenzione dell’usura.?
Suggeriamo, difatti, tramite La Consulta Nazionale Antiusura, i rimedi alle carenze legislative ed operative fin qui illustrate e svolgiamo la complessa e difficile attività di prevenzione.
Aldo Sirianni
Presidente Fondazione antiusura Monsignor Moietta Onlus