STORIA DELLA FONDAZIONE ANTIUSURA MONS. VITTORIO MOIETTA ONLUS

Considerazioni e riflessioni

sull’attività di prevenzione contro l’usura.

Esame dei problemi ancora irrisolti per le carenze della legge 108/96

e per i devianti comportamenti del Sistema Bancario e Finanziario

Aldo Sirianni Presidente

Lamezia Terme, Settembre 2019

Ricorrendo il ventennale dell’entrata in vigore della Legge Antiusura, la Consulta ci invitò a scrivere la storia della nostra Fondazione; lo scopo era quello di celebrare l’evento con un libro-documento contenente le storie di tutte le Fondazioni italiane impegnate nella prevenzione del fenomeno usuraio.

Il progetto non fu mai realizzato; restò però la storia, che, in un secondo tempo, decidemmo di rivedere, ampliare ed aggiornare affinché restasse memoria scritta sia delle vicende che ne avevano determinato la nascita, sia del lungo processo di adeguamento delle sue attività alle esigenze ed alle istanze che provenivano dal contesto economico e sociale nel quale era chiamata ad operare.

Nel frattempo, pur ricorrendo un altro ventennale, quello della nascita della nostra Fondazione, abbiamo evitato di dare alla narrazione di quei fatti intenti o significati celebrativi.

Piuttosto, abbiamo dato risalto al racconto dei sacrifici e delle fatiche affrontati per la creazione e il funzionamento di un Organismo rivolto ad arginare un fenomeno molto diffuso nella nostra Città e nel suo comprensorio: la pratica dell’usura, che sempre più spesso, presenta stretti legami con la criminalità organizzata.

Abbiamo anche voluto mettere nella giusta evidenza le intuizioni prima e le convinzioni poi, che andavano maturando in tutti noi, man mano che ci addentravamo nei complessi e complicati problemi connessi sia alla nascita che alla diffusione del fenomeno usurario.

La constatazione delle disastrose e, alcune volte, disperate condizioni in cui versavano, tanti, forse troppi fratelli oberati dai debiti e bisognosi di un aiuto tangibile per la soluzione dei loro problemi, è stata per noi tutti, che conoscevamo in modo superficiale il fenomeno del sovra indebitamento, motivo di attenta riflessione e punto di partenza di mille interrogativi.

Il più ricorrente era: perché si verifica la pratica insensata del sovra-indebitamento?

Quali sono i moventi, le molle che spingono il debitore a sovra-indebitarsi, esponendo sé e la sua famiglia al rischio di perdere tutti i propri beni, vanificando i sacrifici e le rinunce di una vita di lavoro?

Molte di queste domande non hanno trovato risposta, perché attinenti all’irrazionale che convive con ognuno di noi.

Altre, invece, avevano risposte coerenti e di queste ci siamo occupati, rilevando anche i comportamenti devianti del Sistema Bancario e Finanziario responsabile, in molti casi, della diffusione dell’usura.

La storia, quindi, è il racconto di un’attività alla quale ci siamo approcciati con impegno e umiltà ed alla quale abbiamo dedicato i nostri sforzi e le professionalità acquisite nella nostra attività lavorativa, quella bancaria, che ci sono state d’aiuto e da guida nella comprensione di problemi e comportamenti, ad un primo esame, incomprensibili.

Essa è il racconto del lungo percorso intrapreso dalla Fondazione diretto alla comprensione delle cause del sovra-indebitamento, non sempre imputabile a colpa del debitore, ma spesso (molto spesso), causato da comportamenti non ortodossi del Sistema Creditizio e Finanziario. Ma soprattutto è il racconto di come la Fondazione si sia attrezzata non solo per risolvere i problemi finanziari del debitore, ma anche per riparare, nei limiti delle sue possibilità, i danni e le storture rilevate.

Non possiamo però negare che il racconto dei fatti che diedero vita alla nascita della Fondazione e che hanno determinato il suo assetto attuale, sia stato esercizio piacevole in quanto diretto a rievocare circostanze e momenti che hanno determinato una svolta particolarmente importante nella nostra vita ed è pertanto dedicata a tutti coloro che hanno operato ed operano ancora per la Fondazione; agli amici che non sono più tra di noi, sono rivolti la nostra gratitudine ed il nostro più caro ricordo.

Confessiamo, inoltre, che nell’accingerci a scrivere queste note, siamo stati assaliti da sensazioni e sentimenti contrastanti: da una parte ci bloccava la naturale ritrosia di dover dire di fatti e sensazioni, per certi versi, intimi e privati; dall’altra, eravamo tentati dalla soddisfazione e dal piacere di rievocare un passato fatto di ricordi, che hanno riempito la nostra vita di slanci e di contenuti.

Infine, le perplessità e i dubbi, che ci assalgono ogni qualvolta ci accingiamo a scrivere o a dire di cose che riteniamo importanti.

Che scrivo? Che racconto?

La storia, di sicuro, non poteva, limitarsi ad un ordito cronologico di date e di avvenimenti: sarebbe stata banale ed incompleta. Non avrebbe raccontato, cioè, le fatiche, le tensioni e l’impegno per l’esercizio di un’attività, il cui svolgimento implicava non solo conoscenze tecniche, ma anche e soprattutto motivazioni di carattere sociale: essere d’aiuto, nel migliore dei modi, alle numerose famiglie che oberate dai debiti rischiavano di essere facili prede degli usurai.

Quello che segue è pertanto il racconto dei motivi che indussero i soci fondatori alla creazione di una Fondazione Antiusura e del complesso processo di aggiustamento e di revisione dell’attività della stessa, diretto al raggiungimento dei suoi scopi istitutivi, ma anche e soprattutto è la narrazione delle tensioni e dei sacrifici che lo hanno caratterizzato.

La prevenzione del fenomeno usuraio è attività nuova e forse, per la prima volta, ritenuta necessaria tanto da destare l’interesse del legislatore (art.15 della Legge Antiusura). Non esistono però modelli di riferimento ed essa va, quindi, sperimentata e verificata sul campo.

In ultimo, nella narrazione abbiamo anche riportato fatti, considerazioni e notizie che potrebbero sembrare, a prima vista, non attinenti; a ben vedere essi sono stati messi in evidenza soprattutto per porre l’accento sulla gravità dell’odioso e molto diffuso reato d’usura, al quale però si guarda con leggerezza e, spesso, con complice accondiscendenza.

I fatti di usura assurgono agli onori della cronaca, scrive il CNEL, solo se culminino nel suicidio dell’usurato, se in essi vi siano implicati personaggi noti e famosi o se siano collegati ad organizzazioni criminali. Cessato il clamore mediatico l’usura cade nella generale indifferenza.

Prima di chiudere questa lunga premessa è, forse, necessario avvertire, che la narrazione esce fuori dai canoni usuali e propri di una storia; essa è soprattutto il pretesto per esprimere considerazioni, riflessioni e distorsioni rilevate nello svolgimento dell’attività diretta alla prevenzione dell’usura, che divergono dal sentire comune.

Il mancato rispetto dei canoni è probabilmente da attribuire ad un peccato, diciamo così, originale, dovuto al fatto che la storia sia stata scritta da un bancario che ad un certo punto della sua vita è stato chiamato ad occuparsi di problemi d’usura. Egli, passando dall’altra parte della barricata, ha rilevato, secondo sue personalissime ed opinabili convinzioni, l’esistenza dei molti problemi, ancora irrisolti, relativi non solo alla prevenzione, ma anche alla diffusione del fenomeno usuraio.

NASCITA DELLA FONDAZIONE:

IL CONTESTO SOCIALE E GLI SCOPI ISTITUTIVI

Nella nostra Città, hanno sempre dilagato, oggi più che mai, sia la delinquenza organizzata che la pratica dell’usura; fenomeni che, se messi assieme, formano una miscela di alto potenziale esplosivo e di alta pericolosità in quanto causa, quasi sempre, di destabilizzazione degli assetti sociali ed economici dell’intera collettività. L’affermazione è solo in apparenza esagerata: l’usuraio mira, essenzialmente, ad impadronirsi, dei beni della sua vittima e… quando i beni sono costituiti dall’esercizio di un’impresa, il passaggio di mano è, senza dubbio alcuno, causa di destabilizzazione.

Monsignor Natale Colafati, era all’epoca della nascita della Fondazione, parroco della Chiesa del Rosario e Vicario Generale del Vescovo. In quella duplice posizione era venuto a conoscenza, dagli sfoghi, dalle confessioni e dalle richieste di aiuto di suoi fedeli, alcuni dei quali vittime dell’usura, di quanto fosse diffuso ed invasivo tale fenomeno, non solo nella realtà cittadina, ma anche nei paesi del comprensorio lametino.

Maturò così in lui, pastore illuminato, altruista e sempre pronto all’azione, la convinzione che fosse necessario creare anche a Lamezia un organismo diretto ad arginare il dilagante fenomeno dell’usura, causa di miseria e di disperazione di molte famiglie.

Ne parlò con me, amico da una vita e bancario di lungo corso, sia per trovare conferme della realtà che gli era stata rappresentata da alcuni suoi fedeli, sia per ottenere un aiuto tecnico nella realizzazione dell’intrapresa alla quale andava pensando.

Nei numerosi incontri che precedettero la nascita della Fondazione, oltre a focalizzare i contorni dell’iniziativa, ricordo che ci intrattenemmo a lungo sul fatto che nella nostra Città la pratica dell’usura non fosse poi fenomeno tanto clandestino ma, con impudenza e temerarietà, fosse praticata in modo palese, alla “luce del sole”.

Eravamo entrambi a conoscenza dell’esistenza di un ufficio presso il quale si svolgevano, in modo palese, pratiche usuraie.

L’ufficio era aperto al pubblico, con orari coincidenti con quelli degli sportelli bancari e posizionato, strategicamente, tra le due banche che operavano in quella parte della Città. All’interno dei locali si concludevano operazioni di prestito, anticipazioni di assegni post datati, sovvenzioni per ritiri di assegni avviati al protesto e sovvenzioni di qualsiasi altro genere. I tassi di regolamento di quelle operazioni, non erano certamente uguali a quelli di mercato, ma molto più rilevanti e variabili in rapporto alla pericolosità soggettiva (o allo stato di bisogno) del richiedente.

L’esercizio di quell’attività era nota non solo agli operatori bancari che operavano in prossimità della “bottega usuraia”, ma era di dominio pubblico.

Alla conduzione dell’ufficio ed alla pratica di operazioni palesemente usuraie, attendevano direttamente i titolari.

L’usura esisteva… eccome!

E senza remora alcuna era praticata, nella Città, liberamente, “alla luce del sole”, appunto, (ho virgolettato perché l’espressione non è mia).

Gli incontri con don Natale, ai quali mi sto riferendo, risalgono al 1998. Solo dopo qualche anno, probabilmente nel 2005 o 2006, non ricordo bene, su un giornale locale lessi il resoconto di un’intervista ad un operatore di giustizia che riferiva di  fatti di usura nella nostra Città. Il magistrato intervistato, con palese disappunto e con chiara condanna morale, confermava che l’usura, a Lamezia, fosse praticata, “alla luce del sole”, con inequivocabile riferimento a quella, “bottega usuraia”, finalmente individuata e perseguita.

Essa, però, operava indisturbata da decenni, era nota a gran parte della Città, ma non suscitava nella popolazione, nessuna preoccupazione o condanna. Se ne parlava, invece, con ironia e con leggerezza, come purtroppo avviene, ancora oggi, per le attività usuraie, nonostante gli operatori del settore le considerino una vera e propria piaga sociale.

Inoltre, chi durante quel periodo, anni ottanta e novanta, ha operato in Banca, ha spesso ricevuto ammiccamenti e battute, riguardanti persone che in possesso di un certo capitale imprestavano liberamente soldi, forse solo per lucrare un rendimento superiore a quello dei loro depositi bancari. E si diceva, che questa pratica fosse molto diffusa non solo nella nostra Città, ma anche nei paesi del circondario, specie in quelli allora sprovvisti di sportelli bancari. Erano però illazioni, non dimostrabili con dati di fatto, ma lasciavano intuire, che accanto a quello ufficiale esistesse un mercato parallelo e illegale del credito, non tanto clandestino e molto diffuso.

Quelle intuizioni, venivano confermate, alcuni anni dopo, precisamente nel 2011, da una ricerca condotta dall’EURISPES, prestigioso ed autorevole Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, che ha contribuito a far emergere fatti e fenomeni della realtà italiana rimasti per lungo tempo nascosti. L’EURISPES, nel suo celebre rapporto lItalia incravattata-quando il credito è in nero, definiva quel mercato collaterale, come usura di vicinato e/o di quartiere: difatti, chi meglio del vicino di casa o di chi abita nello stesso quartiere conosce i bisogni della vittima potenziale?

La pratica dell’usura di vicinato, riferiva quello studio, aveva diffusione quasi capillare tra i dipendenti della Pubblica Amministrazione, delle ASL in particolare, i quali assumevano, a seconda dei casi, sia la figura di prenditori, sia quella di concedenti e/o di intermediari-mediatori.

Il Rapporto, misurava anche la potenziale diffusione del fenomeno, provincia per provincia, con un indicatore, l’IRU (Indice Rischio Usura), che esprimeva il grado di permeabilità dell’usura nel territorio oggetto di osservazione. Stilava, quindi, una graduatoria di quegli  indici,  indicandoli  in ordine decrescente di grandezza, dal più alto a quello più basso o inesistente. Le cinque province Calabresi occupavano i primi 6 posti della graduatoria nazionale con indici pari al 100% della provincia di Crotone, scendendo al 99,3% di quella di Catanzaro e, via via, ultima delle province calabresi, ma al sesto posto della graduatoria nazionale, la provincia di Cosenza, con percentuale attestata intorno al 98%.

In altri  termini,  secondo  le stime dell’EURISPES,  esisteva la quasi certezza che un calabrese in difficoltà finanziarie potesse cadere sotto usura e diventare vittima degli usurai.

La  ricerca  misurava anche  il  volume dell’usura  in  Italia e  la stimava in circa 85  miliardi di  Euro (capitali presi  in prestito 37 miliardi capitali restituiti 48 miliardi, al tasso di interesse annuo medio, perciò, del 130%) e metteva in evidenza, come fatto innegabile e ricorrente, che la causa principale del ricorso all’usura fosse da attribuire ad un sistema bancario e finanziario malfunzionante e lontano le mille miglia dalle esigenze e dalle necessità sia degli imprenditori che delle famiglie.

Trascorsi otto anni dalla data di pubblicazione di quel rapporto, viene da pensare che quelle rilevazioni siano sicuramente peggiorate, attesa la perdurante crisi dell’economia italiana.

Il malfunzionamento e la inadeguatezza del Sistema Bancario Italiano, sono dimostrati da un caso emblematico, salito in quegli anni agli onori della cronaca; quello dell’imprenditore reggino De Masi. Egli era titolare di un’impresa di alta tecnologia, che viveva essenzialmente di esportazioni e che fu distrutta dalle vessazioni perpetrate nei suoi confronti da alcuni grandi Istituti di credito italiani con la pratica di interessi usurai, la revoca arbitraria di fidi, la chiusura di conti e altre nefandezze del genere. De Masi ha avuto però il coraggio civile della denunzia e, per suo merito, è stato celebrato un processo (per la verità i processi furono numerosi e contrastanti, fino a quello definitivo della Corte di Cassazione che riconosceva le istanze di De Masi e condannava le Banche), che può essere considerato un vero e proprio atto di accusa nei confronti di tutte le Banche Italiane, o meglio, del cosiddetto Sistema Istituzionale del Credito, in quanto preposto, per legge, all’esercizio dell’attività creditizia.

Il rapporto Eurispes ed il caso De Masi sono riportati per delineare il contesto sociale ed economico in cui era chiamata ad operare la Fondazione e pongono l’accento sul fatto che la diffusione delle pratiche usuraie affonda le sue radici nei comportamenti delle Istituzioni creditizie riconosciute (Banche e Finanziarie) che attendono in modo esclusivo all’esercizio del credito.

I comportamenti  irresponsabili delle istituzioni creditizie  e finanziarie riguardano, come vedremo in prosieguo, non solo il rifiuto preconcetto di credito, ma anche, all’opposto, le eccessive concessioni di credito e/o quelle sotto forme e tipologie improprie e non rispondenti alle effettive necessità del debitore.

In particolare, sia le concessioni eccessive, che i finanziamen- ti in forme improprie, come avremo modo di approfondire, sono quasi sempre da annoverare tra le principali cause del sovra-indebitamento, che a sua volta, innesca quella spirale perversa che inizia con l’esclusione del debitore dai circuiti legali del credito, e si conclude, sempre più spesso, con il ricorso del debitore al mercato illegale, quello dell’usura.

Queste nostre osservazioni vogliono mettere in evidenza i limiti della battaglia contro l’usura; la legge 108/96 sanziona solo il reato di usura che si consuma allorché sia superato un certo tasso limite detto anche tasso soglia. I comportamenti di alcuni attori principali, che sono la causa principale della diffusione del fenomeno,  restano,  invece,  impuniti  o,  piuttosto,  impunibili.  Ci  domandiamo: è forse questo il motivo per il quale il legislatore ha voluto dare particolare enfasi alla prevenzione del fenomeno usuraio, affidandola a particolari Organismi, quali le Fondazioni Antiusura e i Confidi?

Il malfunzionamento del Sistema Bancario e Finanziario e i suoi comportamenti, saranno oggetto di nostre ulteriori considerazioni, tanto da risultare il leitmotiv, il filo conduttore della storia, perché rappresentano gli ostacoli più vistosi all’attività di prevenzione svolta dalle Fondazioni e ne vanificano, molto spesso, l’efficacia.

Torniamo alla storia.

Le distorsioni appena accennate malfunzionamento e prevaricazioni del Sistema sono antiche ed erano anche oggetto delle lunghe conversazioni con l’amico Monsignore, certo non ignaro, per le confessioni di molti suoi fedeli vittime d’usura.

Diventava sempre più impellente, quindi, la necessità di creare, anche a Lamezia, un Organismo che potesse arginare e combattere la diffusione della pratica dell’usura.

Iniziò un intenso lavoro di informazione presso altre Fondazioni e presso la Consulta Nazionale Antiusura ed Il 27 maggio del 1998 si stipulò l’atto di costituzione della nostra Fondazione.

Don Natale (mi suona troppo formale l’appellativo di monsignore; le nostre frequentazioni e la nostra leale e profonda amicizia, risalivano agli anni della giovinezza allorché egli, appena ordinato sacerdote, fu mandato nel mio paese di origine). Don Natale, dicevo, riuscì a coinvolgere nell’iniziativa tante belle persone che poi ebbero un ruolo determinante nella riuscita della difficile impresa. Alcuni non sono più tra di noi, e a loro rivolgiamo un affettuoso e grato ricordo; a monsignor Natale Colafati innanzitutto, a mons. Pasquale Luzzo, al notaio Fortunato Galati e al notaio Gennaro Anania, che con infinita pazienza e dedizione ci accompagnò nella stesura dell’atto costitutivo. Al dr. Federico D’Ippolito, al Preside Mascaro e al Giudice Isabella che fecero parte, finché le forze glielo consentirono, del Consiglio Direttivo e del Comitato Tecnico Esecutivo.

L’intitolazione della Fondazione a Monsignor Vittorio Moietta era l’omaggio doveroso ad un Vescovo, che nei due anni del suo breve vescovado riuscì, egli che era piemontese, nativo di Casale Monferrato, a farsi amare da tutti i lametini, lasciando un diffuso quanto indelebile ricordo.

Alla Fondazione oltre che lo scopo della prevenzione dell’usura ex art. 15 L.108/96, fu dato un respiro più ampio, consistente, nei limiti dei mezzi propri, di non rifiutare aiuto ai bisognosi, rendendo così operante nel sociale il principio cristiano della solidarietà umana espresso dalle parole di Gesù “fate questo in memoria di me”, assunte come motto della Fondazione.

L’aiuto ai bisognosi, fermo restando quello istitutivo consistente nella prevenzione del fenomeno usuraio, doveva estrinsecarsi in forme tangibili di soccorso mediante concessione di piccoli prestiti, micro crediti a tasso zero, con obbligo di restituzione o, nei casi più gravi, in veri e propri sussidi per il sostentamento proprio e della propria famiglia.

Questa attività poteva essere svolta esclusivamente coi mezzi di dotazione propri della Fondazione, salvaguardando i limiti minimi di capitale, imposti per legge in € 51.645,57 (pari a 100 milioni del vecchio conio).

GLI INIZI DELL’OPERATIVITA’ DELLA FONDAZIONE.

IL CAPITALE DI DOTAZIONE E LE RISORSE A DISPOSIZIONE. IL PERIODO BUIO.

Il capitale minimo iniziale, fu versato dalla Curia di Lamezia Terme, che lo integrò, nel prosieguo dell’attività, con ulteriori apporti di ragguardevole entità.

La somministrazione del capitale iniziale da parte della Curia, le donazioni successive, l’ispirazione dell’attività della Fondazione al messaggio cristiano contenuto nelle parole di Gesù “fate questo in memoria di me” e, infine, l’esercizio dell’attività affidata a volontari, davano alla Fondazione una connotazione ecclesiale, identità, questa, condivisa dalla quasi totalità delle Fondazioni Antiusura operanti in Italia. La Chiesa ha sempre lottato contro il prestito usuraio e la sopraffazione e le Fondazioni, quindi, possono ben essere considerate come uno dei suoi bracci operativi.

La connotazione ecclesiale è rafforzata, anche da altre previsioni statutarie: il Comitato d’Onore, a cui è demandata l’elezione del Consiglio Direttivo, è presieduto dal Vescovo pro-tempore. Egli designa inoltre due sacerdoti componenti dello stesso, in aggiunta ai tre componenti laici nominati collegialmente dal Comitato.

Gli anni iniziali della vita della Fondazione, rappresentano, nonostante la voglia di fare e i buoni propositi dei fondatori, il periodo più duro e più difficile, tanto che si paventò il rischio di metterla in liquidazione. Quel periodo è durato, all’incirca, dieci anni. Può essere d’aiuto, a questo punto, ricordare la distinzione giuridica tra Associazioni e Fondazioni. Le prime sono l’unione di più persone che decidono di fare, di operare, per il raggiungimento di un certo scopo. Le Fondazioni, anch’esse formate da persone, per poter funzionare hanno bisogno, però, di un capitale, di un Fondo

-da ciò deriva la loro definizione- in assenza del quale non potrebbero perseguire i loro fini istitutivi e, quindi, non potrebbero svolgere la loro attività.

Nelle Fondazioni Antiusura il cui  fine istitutivo è la prevenzione del  fenomeno usuraio,  alla dotazione ed  alimentazione di questo fondo provvede lo Stato mediante contribuzioni iniziali e continuative, ai sensi della Legge 108/96.

Più precisamente, Il Fondo serve a garantire presso le Banche i prestiti concessi dalle Fondazioni a soggetti particolari, i cosiddetti protestati. Questi, difatti, per i loro precedenti sono esclusi dal Sistema Finanziario (esclusione finanziaria del debitore) e pertanto costituiscono una delle categorie più deboli e più esposte al rischio di usura; non potendo richiedere prestiti al mercato ufficiale in quanto esclusi dal circuito creditizio, potrebbero rivolgersi a quello illegale, all’usura.

In altri termini, garantendo i prestiti a favore dei protestati, il Fondo di Garanzia consente alle Fondazioni di svolgere la loro attività istitutiva: la prevenzione dell’usura, nella misura in cui quei prestiti siano diretti al risanamento del dissesto temporaneo dei debitori, come meglio diremo in seguito. Vedremo pure che la categoria dei protestati non è la sola cui la Fondazione rivolge la sua attività: essa interviene laddove ci sia pericolo di usura e cerca di prevenirla. Più in generale, il pericolo viene quasi sempre ravvisato, non tanto nel fatto che il debitore sia protestato, quanto nelle sue condizioni finanziarie di dissesto dovute a sovra-indebitamento. Altra distinzione necessaria è quella tra Fondo di Garanzia Antiusura e Patrimonio netto. Il primo resta sempre di proprietà dello Stato ed è finalizzato a costituire, per disposizione di legge, garanzia di prestiti altrimenti non erogabili; il secondo, costituisce la dotazione di proprietà della Fondazione e può essere impiegato per il raggiungimento di altri fini della stessa come, come ad esempio, l’aiuto ai bisognosi, ma anche per dotarsi dei mezzi strumentali indispensabili al suo funzionamento, mediante l’acquisto di beni e servizi (mobili, arredi, macchine d’ufficio, etc.).

Delineeremo più avanti l’azione della Fondazione, per adesso rileviamo che all’inizio dell’attività essa poteva contare su mezzi limitati, in assenza di idonee somministrazioni di fondi da parte dello Stato, se si escluda l’esiguo stanziamento iniziale previsto per le Fondazioni di nuova costituzione.

La mancata somministrazione è imputabile, solo ed esclusivamente, alle vicende costitutive della Fondazione ed al lungo iter burocratico necessario al suo riconoscimento. Tali vicende, terminarono nel 1999, anno in cui si esaurirono i primi fondi stanziati dalle Legge Antiusura, destinati alla prevenzione. Gli stanziamenti di 300 miliardi di lire, necessari alle Fondazioni per la costituzione, presso di loro del Fondo di Prevenzione Antiusura, furono erogati nella misura di 100 miliardi all’anno a partire dal 1996. Quando, nel 1999, la nostra Fondazione ottenne, finalmente, il riconoscimento ed era pronta ad iniziare la sua attività, gli stanziamenti iniziali del Fondo Antiusura erano stati interamente assegnati alle Fondazioni già operative; si erano esauriti cioè gli stanziamenti iniziali e la nostra Fondazione restò esclusa dal riparto.

Bisognava attendere che il Fondo di Prevenzione si ricostituisse secondo i meccanismi previsti dalla legge Antiusura e, nel frattempo la Fondazione era destinata ad operare con mezzi modesti. Essa poteva contare, in definitiva, sull’erogazione iniziale “una tantum” del Ministero di € 77.000 e su quella, presso ché, di eguale importo della Regione Calabria, che aveva stanziato delle somme destinate alla prevenzione dell’usura. Gli stanziamenti furono erogati solo per due anni e poi sospesi, perché il legislatore regionale ritenne più opportuno privilegiare le vittime del racket e dell’usura, stornando dalla prevenzione i fondi necessari.

I responsabili della Fondazione, Presidente e Consiglio Direttivo, in presenza di mezzi così modesti, abbiamo vissuto sensazioni di impotenza e di frustrazione che hanno messo a dura prova il nostro entusiasmo e la nostra voglia di fare. Purtuttavia facendo appello a barlumi di speranza, ancora presenti, abbiamo continuato nell’ attività riuscendo a tenere in vita la Fondazione stessa.

Essa ha continuato la sua attività grazie alla perseveranza dimostrata dai componenti del Consiglio Direttivo, alimentata dalla speranza che le cose, prima o poi, potessero e dovessero cambiare. Costituita la Fondazione, quindi, cominciammo ad operare col capitale di dotazione (€ 51mila e rotti, pari a lire cento milioni del vecchio conio), conferito per intero dalla Curia di Lamezia e coi contributi, attestati a livelli minimali, del Ministero e della Regione.

Ci rendemmo subito conto della inadeguatezza dei fondi a disposizione e ne riferimmo, in un accorato incontro, a S.E. Monsignor Rimedio. Egli, comprese subito la situazione e preoccupato delle sorti della Fondazione di cui aveva condiviso la nascita, credendo fermamente nella sua attività diretta ad arginare il fenomeno dell’usura tanto diffuso nel territorio, decise di integrare il contributo originario destinato alla sua costituzione, con un’ulteriore donazione, che fu erogata in due tranches.

Logica e rigore contabile avrebbero imposto l’attribuzione di quelle somme a capitale, ma le necessità di carattere contingente e l’ansia di fare ci costrinsero a riferirlo al Fondo Antiusura, che aveva già superato i limiti di capienza. Solo più tardi e una volta raggiunti livelli di sufficiente dotazione di mezzi, riferimmo, correttamente, quelle somministrazioni a patrimonio netto. Le contribuzioni, unite, come diremo, a quelle del Comune di Lamezia Terme, alimentarono il Fondo di Garanzia della Fondazione, che si attestò, all’importo complessivo di € 270.000 e che restò presso ché inalterato, per il decennio avvenire. La modesta entità dei mezzi a disposizione ci precludeva la possibilità di condurre un’azione incisiva nella prevenzione dell’usura quale essa era nelle nostre aspettative e nei nostri intendimenti: ci consentiva un’operatività di poco superiore a quell’importo, potendo contare solo sulla graduale restituzione dei prestiti.

Per avere un’idea dell’esigua consistenza dei mezzi di dotazione basta considerare che oggi, in regime di piena operatività, l’importo medio annuale dei prestiti erogati è superiore ad € 700.000. Per contro il totale dell’ammontare dei prestiti erogati, nel decennio buio, è di poco superiore ad Euro 600.000.

Stante quella realtà è facile comprendere l’origine del nostro disagio:

  • gli interventi erano limitati all’importo massimo di € 20.000, che ci permetteva di risolvere pochi casi, dando la precedenza a quelli caratterizzati da esigenze urgenti e drammatiche;
  • la maggior parte delle richieste veniva evasa con ritardo, potendo fidare solo sul rientro naturale dei prestiti;
  • numerose altre non venivano accolte per mancanza di fondi.

Il senso di impotenza che caratterizzò quel triste periodo attraversato dalla Fondazione è ancora ricordo vivo e bruciante. La gente chiedeva aiuto e noi dovevamo rifiutarlo.

Ricordo che, tutti noi, facendo leva su conoscenze personali, “bussavamo a denari”, come si dice, a destra e a manca e ci rivolgemmo finanche al Comune di Lamezia Terme, all’onorevole Doris Lo Moro, allora sindaco della Città. Ella si dichiarò immediatamente disponibile ad aiutarci e girò a favore della Fondazione uno stanziamento del Comune destinato alla prevenzione dell’usura, che giaceva negletto e inutilizzato, da anni, nelle poste del bilancio comunale, di importo pari a € 22 mila. La somma fu accreditata alla Fondazione nel 2002.

L’onorevole Lo Moro credeva nella Fondazione e facendo leva sulle sue conoscenze personali, organizzò una manifestazione, con l’intento sia di raccogliere ulteriori fondi, sia di proporla all’attenzione generale.

Alla manifestazione parteciparono la stilista di Lamezia, Signora Stella, con una sfilata di sue creazioni, e il gioielliere Gerardo Sacco, sempre disponibile a prodigarsi per il bene della sua Terra e per iniziative sociali e culturali.

Gerardo  Sacco  mise  all’asta  un  collier di  sua  creazione,  con prezzo base di € 1.500, aggiudicato poi per rimporto quasi doppio, il cui ricavato fu devoluto alla Fondazione.

La manifestazione ebbe successo anche perché i presenti (giovani imprenditori, politici e dirigenti della pubblica amministrazione), sollecitati dall’onorevole Lo Moro e da Gerardo Sacco, offrirono il loro obolo.

Per i responsabili della Fondazione presenti fu una serata esaltante: raccogliemmo più di 5 mila euro di nuovi fondi.

Ricordo anche, con affetto e simpatia, il disagio del nostro Vescovo Monsignor Rimedio, sempre presente alle manifestazioni pubbliche della Fondazione; il disagio era dovuto agli abiti succinti delle indossatrici e che Egli manifestò con l’accorata esclamazione: ma dove mi avete portato?

Caro Monsignor Rimedio, Ella è stato uno degli artefici principali della buona riuscita della Fondazione, sia perché ha sempre creduto nella sua mission, sia perché ci ha sempre rinfrancato, dandoci i giusti stimoli e l’aiuto necessario.

Dico di questi eventi perché essi costituiscono le poche note liete di quell’oscuro e tormentato periodo. Poi, si tornava alla normalità operativa, fatta di stenti, di rifiuti e di frustrazioni.

Tra questi va incluso anche l’operato della Banca Convenzionata, allora rappresentata da un grande Istituto di credito, il cui funzionario-referente, incaricato di gestire il rapporto con la Fondazione, aveva una concezione personalissima e originale della natura della garanzia offerta dal Fondo Antiusura: ad ogni operazione concessa, stornava dal Fondo l’ammontare corrispondente all’importo del prestito e lo costituiva in pegno a garanzia dello stesso, ovviamente accreditandolo su un conto di deposito diverso e rigorosamente infruttifero; e ciò costituiva un primo danno. Invece, così come pattuito nella Convenzione stipulata con la Banca, è il Fondo, nella sua consistenza integrale, che garantisce l’esposizione complessiva dei prestiti deliberati: stornando da esso somme e vincolandole a singole operazioni, costituiva procedura arbitraria perché oltre ad essere improduttiva di interessi, limitava pesantemente l’operatività della Fondazione.

L’arbitraria procedura, inoltre, determinava altri danni, rappresentati dai fittizi passaggi a debito del conto di gestione con conseguenti competenze, per interessi e spese a carico della Fondazione.

Il caos determinato sui vari conti fu indescrivibile: dovemmo ricostruire i movimenti contabili, di conti diversi, per un periodo di circa due anni. Solo chi ha pratica di contabilità bancaria può rendersi conto della complessità dell’operazione. Bisognava esporre tutte le movimentazioni in ordine cronologico di valuta e ricomporre nuovi scalari per il calcolo degli interessi (così si dice in gergo). L’operazione, lunga e laboriosa, ci tenne impegnati per qualche mese.

Lo scorretto operato della Banca, dunque, oltre a ridurre sensibilmente l’operatività del Fondo di prevenzione, aveva prodotto danni per oltre 8.500 Euro, che furono determinati nell’esatto ammontare e risarciti al centesimo.

E così fummo costretti a liquidare il rapporto e a migrare presso altra Banca con conseguente sospensione dell’attività in attesa di stipulare una nuova Convenzione.

Chiusura del conto e migrazione presso altra Banca hanno provocato altri danni non quantificabili, derivanti dalle complicazioni relative alla gestione ed alla sistemazione dei prestiti ancora non scaduti.

Le Banche sono sempre restie ad ammettere i loro errori e quando sono costrette a riconoscerli, preferiscono che di questi non resti traccia; liquidano il rapporto stesso, quasi ad esorcizzarlo. Oltre all’episodio testé riferito, avremo modo di esporre altre disfunzioni ben più gravi riscontrabili nei rapporti Banche-Fondazioni e dobbiamo purtroppo ammettere che essi costituiscano il nervo scoperto dell’operatività di tutte le Fondazioni Antiusura.

Durante quel triste e tormentato periodo emergevano le figure di due persone alle quali serbiamo gratitudine; la notaia Rosarina Agapito e il dr. Federico D’Ippolito, rispettivamente presidente e componente del Consiglio Direttivo.

La presidente, tenace e combattiva, teneva salda la barra del timone, sperando sempre in una svolta positiva.

Il dr. D’Ippolito, di profonda e convinta religiosità, ci rabboniva con la sua fede in Dio, me in particolare ché ero il più impaziente.

Ricordo la frase che spesso mi ripeteva: “Abbi fede in Dio, vedrai che le cose cambieranno”.

Federico è mancato di recente, sia lode alla sua bella anima, ma è sempre presente nei nostri pensieri.

I CAMBIAMENTI

E LE PRIME SVOLTE POSITIVE

E nel dicembre del 2008, le cose finalmente cambiarono. Arrivò il tanto atteso contributo del Ministero; esso fu somministrato in due tranches: la prima di € 700.000… e già non credevamo ai nostri occhi! Figuriamoci quando, dopo pochi giorni, arrivò un’integrazione di ulteriori euro quattrocentomila e rotti.

Era il periodo dell’Avvento e il Natale fu ancora più lieto.

In concomitanza con l’erogazione del cospicuo contributo, la Fondazione trasferiva la Sede sociale, nei locali del palazzo Vescovile, in via Lissania. Il trasferimento si poté realizzare oltre che per la disponibilità ed il fermo proposito di S.E. Monsignor Cantafora, attento all’attività della Fondazione e riconoscente per l’opera da essa prestata, anche per le continue pressioni da parte dell’impareggiabile Padre Rastrelli -ispiratore della Legge Antiusura e presi- dente della Consulta- rivolte al Vescovo per consentire alla Fonda- zione, l’uso gratuito di locali di proprietà della Curia.

Il trasferimento della Sede Sociale non è stato avvenimento di poco conto: innanzitutto perché essa si situava in zona centralissima, ma anche appartata della Città, e poi perché l’uso gratuito dei locali affrancava finalmente la Fondazione dalle spese di fitto, sostenute per molti, troppi anni, con incidenza rilevante sul suo conto economico, i cui unici proventi erano rappresentati dagli interessi percepiti dagli investimenti in titoli e dai depositi delle esigue somme disponibili (capitale proprio e fondo Antiusura).

Era anche da poco intervenuto l’avvicendamento alla carica di Presidente; alla notaia Agapito, che lasciava l’incarico, per seri motivi personali, succedeva il sottoscritto che aveva ricoperto fino a quel momento la carica di vice-presidente.   I cambiamenti, mutavano gli assetti della Fondazione: in particolare quello relativo alle cresciute disponibilità del Fondo Antiusura e faceva nascere nuove consapevolezze. Esso, difatti, si attestava a circa € 1.500.000 e tale importo, non più irrisorio, permetteva di interloquire in modo diverso con la Banca Convenzionata.

A seguito di lunga trattativa, fu pattuito con la stessa il moltiplicatore UNO-DUE, in base al quale a fronte di un Fondo Antiusura, poniamo pari ad € 100, potevano essere concessi prestiti pari ad

€ 200; il moltiplicatore, in altri termini, raddoppiava l’operatività del Fondo e della Fondazione. Il potenziale operativo veniva quintuplicato: con un Fondo Antiusura di circa € 1.500.000, si potevano concedere prestiti per importo doppio, pari ad € 3.000.000, invero rilevante se rapportato al totale dei prestiti che la Fondazione aveva erogato, nei primi dieci anni di operatività, pressappoco uguale ad € 600.000.

La Fondazione, con i mutati assetti, usciva dallo stallo originario e nell’intento di riproporla nella nuova veste, finalmente mondata dalle scorie accumulate durante quel decennio definito come il suo “periodo nero”, organizzava una conferenza sulla propagazione della cultura anti-debito, invitando come relatore l’amico prof. Maurizio Fiasco, sempre pronto e disponibile agli inviti delle Fondazioni.

Il ricordo di quella conferenza, ancora oggi, ci procura grande rammarico e sensi di notevole disagio. La Parrocchia della Cattedrale volle inserirla, difatti, nei festeggiamenti per il Santo Patrono e decise che si dovesse tenere nella Cattedrale, al termine della celebrazione della Messa officiata dal Vescovo. A nulla valsero le rimostranze della Fondazione sulla scelta sia del luogo che dei tempi… e, come temevamo, la conferenza si risolse in un insuccesso totale. Fu commesso l’errore di credere che dopo la celebrazione della Messa sarebbero rimasti molti dei fedeli presenti. Purtroppo, ahinoi, ne restarono pochi: pressava il pranzo festivo… e l’Officiante aveva già congedato i fedeli con “l’Ite missa est”. E poi, diciamoci la verità, l’argomento trattato, la cultura anti-debito appunto, non è che fosse così ameno da poter essere somministrato in giorno di Festa. Ci restò l’amaro in bocca e ci siamo chiesti, per diverso tempo, se l’amico prof. Fiasco, che fece ascoltare, ai pochi presenti rimasti, una delle sue mirabili relazioni sul fenomeno del sovra-indebitamento, ci avesse mai perdonato. La lezione fu dura e maturammo il convincimento che mai più avremmo delegato ad altri, attività proprie della Fondazione. Bisognava, però, digerire l’insuccesso e andare avanti. Era necessario, innanzitutto, individuare canali alternativi attraverso i quali si potessero segnalare al pubblico l’esistenza e gli scopi della Fondazione, atteso che nemmeno i redattori del giornalino edito dalla Curia avevano ospitato alcuni scritti del presidente riguardanti l’attività ed il funzionamento della stessa. Né avevano sortito effetti positivi gli incontri informativi che il presidente aveva tenuto con tutti i parroci della Diocesi, durante le loro adunanze settimanali. Dalle Parrocchie arrivavano scarse segnalazioni e quasi sempre di soggetti i quali, più che l’aiuto della Fondazione, avevano bisogno di un serio interessamento da parte della Caritas Diocesana.

Sovvenne allora in aiuto, l’esperienza lavorativa che avevo maturato nella conduzione di banche di piccole dimensioni e di nuova costituzione. Esse decollarono perché si operava soprattutto con spirito di servizio, che, a sua volta, determinava il fenomeno del passa-parola, di sicuro, il miglior viatico per l’affermazione di qualsivoglia iniziativa.

NUOVI INDIRIZZI

RIGUARDANTI L’ORGANIZZAZIONE: LA SCELTA DI UN NUOVO MODELLO DI OPERATIVITA’.

Avvertimmo subito la necessità di rivedere l’intera struttura organizzativa della Fondazione, con particolare riguardo a due aspetti della gestione che fino a quel momento, data la scarsità dei mezzi a disposizione e l’operatività ridotta erano stati, necessariamente, trascurati.

Il primo riguardava la visibilità all’esterno della Fondazione: essa doveva essere percepita come entità funzionante, che garantisse presenza e continuità di azione nel territorio operativo di sua competenza; a questa necessità si sopperì con l’assunzione part-time di un dipendente fisso, al quale furono anche demandate tutte le incombenze amministrative e di segreteria.

Il secondo, riguardava il ripensamento di  tutta l’attività della Fondazione che va dal colloquio (informativo e ricognitivo) alla concessione dell’intervento sotto forma di prestito garantito, mai perdendo di vista, però, il fine istitutivo della Fondazione: la prevenzione del fenomeno usuraio. Ci interrogammo a lungo sulla valenza di questa espressione, con  l’intento di  trovare e di  individuare una traccia operativa da seguire. Per l’attività svolta dalla Fondazione, il significato lessicale del verbo prevenire, poteva significare evitare che…, ma è anche vero che la legge Antiusura non indicava e non indica modelli operativi da seguire, essa è attività nuova, introdotta dal legislatore con l’art. 15 della L.108/96.

Nell’attività di prevenzione, sorge e assilla sempre un dubbio: qual’ è il momento in cui si verificano quelle circostanze o serie di circostanze che potrebbero spingere il debitore nella morsa dell’usura? Qual è il momento topico in cui il malcapitato debitore decide di rivolgersi agli usurai pensando di poter risolvere i suoi problemi?

Dare risposta a queste domande significava, per altro verso, poter tracciare un modello operativo che potesse indirizzare ed essere da guida a tutta l’attività della Fondazione.

Dall’esperienza passata, ricavammo la convinzione che lo “stato di pericolo del debitore” era causato dal sovraindebitamento, che si identifica nella situazione in cui il debitore non è più nelle condizioni di onorare i suoi debiti perché l’ammontare delle risorse di reddito disponibili non è sufficiente a coprirli, ad onorarli; il reddito disponibile, cioè, è insufficiente a coprire le rate per debiti più le spese necessarie al sostentamento familiare. Anzi, tutti i casi di sovra-indebitamento esaminati dalla Fondazione presentavano, addirittura, la disuguaglianza seguente: reddito familiare (uguale o inferiore) ammontare delle rate per pagamento di debiti; non lasciando quindi spazio neanche alle spese di sostentamento.

Stabilimmo così un primo punto fermo e cioè che il pericolo di cadere sotto usura fosse da attribuire, in via principale, allo stato di sovra-indebitamento, le cui inevitabili conseguenze erano: l’esclusione del debitore dai circuiti bancari e/o finanziari, lo stato di disperazione determinato dalla coscienza di poter perdere i propri beni, il proprio patrimonio, accumulati con enormi sacrifici e, per ultimo, la convinzione che il ricorso agli usurai potesse rimuovere la grave situazione di dissesto, ma senza valutarne le conseguenze.

Eh già… gli usurai mirano unicamente ad impossessarsi dei beni degli usurati: i nullatenenti non sono appetibili, appunto perché non hanno nulla da perdere.

Stabilito il primo punto fermo, bisognava dare soluzione ad altri problemi quali:

  • a) le cause che avevano determinato il sovra-indebitamento;
  • b) la definizione dell’aiuto della Fondazione, che non poteva solo estrinsecarsi nella concessione “ad ogni costo” di un prestito.

Per ciò che concerne il primo punto ci convincemmo che l’azione di prevenzione, dovesse collocarsi in un momento anteriore: ancor prima cioè che fosse compiuto il sovra-indebitamento, attraverso l’assunzione smodata di debiti. Occorreva pertanto procedere, con un’azione educativa mirata alla diffusione di una cultura anti debito o, meglio, come amiamo dire gli operatori antiusura, nella diffusione di una cultura dell’indebitamento responsabile, compito peraltro assegnato alle Fondazioni dalla Legge Antiusura. Dell’azione educativa svolta dalla Fondazione ci occuperemo più diffusamente in prosieguo, dedicando all’argomento una trattazione separata.

Per ciò che concerne il punto b), a nostro avviso il più importante, convenimmo, che l’intervento della Fondazione dovesse essere diretto alla ricomposizione dello stato passivo del debitore (esdebitazione, mutuando i termini della Legge 3/2012). Che l’intervento, cioè, dovesse e potesse essere possibile in quanto giusti- ficato dal riequilibrio dei flussi finanziari, in entrata ed in uscita, generati, rispettivamente dal reddito e dalle esigenze familiari del debitore. Più precisamente: determinata l’entità del prestito da concedere, destinato ad estinguere tutte le passività del debitore,  bisognava  poi  verificare  che  le  rate  di  ammorta- mento fossero  sostenibili dalle risorse complessive di reddito del debitore, al netto delle spese di sostentamento proprio e della famiglia.

Individuato l’iter operativo, stabilimmo che esso potesse rappresentare la via da perseguire per il risanamento del dissesto del debitore, validando così l’azione di prevenzione antiusura, che è lo scopo fondamentale della Fondazione.

Bisognava inoltre prendere coscienza, alla luce della passata esperienza,  che  con  prestiti  chirografari  fino  al  limite  massimo, prima di € 20.000 e poi di € 30.000, si risolvevano ben pochi casi.

Pertanto era necessario: da una parte, aumentare la misura dei prestiti concedibili e, dall’altra, diminuire l’entità delle rate di ammortamento dei prestiti, attraverso la diluizione delle durate: furono così introdotti i mutui ipotecari, fissandone il limite in Euro centomila con durata, prima di dieci e poi di quindici anni e fu anche aumentata, con la nuova convenzione stipulata con altra Banca, la durata dei chirografari, portandola da 60 a 84 mesi.

Questi nuovi limiti ci consentivano di intervenire nella quasi totalità dei dissesti familiari: l’azione della Fondazione è rivol- ta principalmente alle famiglie, alcune volte anche alla famiglia dell’imprenditore, se l’esercizio dell’impresa sia il suo unico mezzo di sostentamento.

La validità di tali scelte fu dimostrata dal fatto che gli interventi sotto forma di mutui ipotecari divennero ben presto prevalenti: dopo qualche anno dalla loro introduzione constatiamo che essi rappresentino già il 55% del totale dei prestiti erogati e sono destinati a crescere, se si considera che sono stati introdotti in data piuttosto recente.

Si potrebbe obiettare: e se il debitore non è proprietario di immobili? Sotto questo aspetto abbiamo ricevuto lezioni di solidarietà esaltanti ed altamente gratificanti, ancor ché inaspettate.

Ci riferiamo alla costituzione volontaria di terzi datori di ipoteca, a garanzia del debito da deliberare.

Le garanzie aggiuntive, richieste con pressante insistenza dalle Banche e divenute operative con la sottoscrizione dei recenti accordi tra ABI e Consulta, il 10 dicembre 2015 (“Idee Guida per la sottoscrizione delle Convenzioni tra Banche e Fondazioni Antiusura), la nostra Fondazione le va proponendo da anni.

Essa, per risanare le posizioni debitorie dei richiedenti, ha fatto sempre leva sulla solidarietà dell’intera famiglia.

Così è anche accaduto che suocere e nuore, che non “si parlavano” da troppo tempo (come spesso avviene tra le persone legate da questo vincolo di affinità), da noi interpellate in separati colloqui, si siano dimostrate solidali e disponibili a costituirsi terze datrici di ipoteca, le une a favore delle altre e viceversa; e questa circostanza, non è poi usuale nei rapporti suocera-nuora.

L’intervento di congiunti come terzi datori di ipoteca è stato anche offerto in numerosi altri casi, da perone legate al debitore da differenti vincoli di parentela e/o di affinità.

Questo nuovo modo di intendere l’operatività, il cui obiettivo ultimo, era ed è, quello di risanare, in modo totale e radicale, lo stato di dissesto del debitore, ci ha indotto a codificarla, a raccoglierla, cioè, in note metodologiche, in idee guida che sovraintendessero sia al processo di acquisizione dei dati (colloqui-interviste), sia, infine, a guidare, consapevolmente, il valutatore nelle delibere di concessione.

Nacque così il Regolamento interno del credito approvato dal Consiglio Direttivo e redatto con la partecipazione di tutti i volontari della Fondazione in base alle esperienze da ciascuno maturate.

Il regolamento si sofferma, in modo particolare, nell’indicazione di alcune idee-guida da seguire nella redazione delle istruttorie in base alle quali si decide, in definitiva, la concessione o il rifiuto del prestito, demandato alla delibera del Consiglio Direttivo.

L’istruttoria è diretta quindi, oltre che a stabilire le cause del sovra-indebitamento anche a determinarne la composizione e l’importo, attraverso lo studio di atti e documentazioni esibiti dal debitore.

Determinato l’ammontare dei debiti inizia una seconda fase, quella in cui viene esperito il tentativo di ricomposizione dello stato passivo. Esso si basa essenzialmente sul seguente assioma: l’esistenza del debito implica la presenza sia della figura del debitore (il prenditore) che quella del creditore (il concedente).

Orbene, essendo i creditori quasi tutti Banche e Società Finanziarie, la situazione di sovra-indebitamento è stata determinata, senza dubbio alcuno, da smodate concessioni creditizie.

Banche e Finanziarie, in altri termini hanno concesso crediti di importo superiore alle capacità di rimborso del debitore.

In una situazione del genere non è immorale proporre al creditore un concordato remissorio diretto a stralciare una parte delle sue spettanze creditorie: questo è del resto l’intento della legge 3/2012, già citata. E quindi, nonostante i rimbrotti e la chiamata in correità della Fondazione da parte dei creditori, è procedimento non solo morale, ma anche legittimo.

Del resto, chi ha provocato l’eccessivo indebitamento del debitore? Se si fossero tenuti nel debito conto i suoi pregressi impegni, il nuovo prestito si sarebbe dovuto rifiutare; così almeno prescrive una norma di comportamento, non solo etica o morale, che è stata introdotta da una direttiva europea e recepita dalla Legge Bancaria Italiana.

Il comportamento del Sistema Finanziario Italiano va, invece, in direzione opposta.

Tutti i casi di sovra-indebitamento esaminati dalla Fondazione evidenziano, come costante, la presenza di una pluralità di prestiti concessi allo stesso debitore da istituzioni Finanziarie e/o creditizie diverse. In media 4/5 posizioni debitorie risalenti a 2/3 differenti Istituzioni Creditizie. Abbiamo anche esaminato casi limite nei quali le posizioni debitorie erano più di dieci, con la presenza di più di 7 differenti Istituzioni Finanziarie. Questi comportamenti del Sistema Finanziario, a dir poco abnormi, hanno invece, come diremo più approfonditamente in prosieguo, una logica perversa.

Il processo di ricomposizione del passivo è lungo e laborioso ed implica conoscenze tecniche e giuridiche. Non sempre i creditori accettano le proposte della Fondazione, ma nella maggioranza dei casi si perviene ad una transazione, se validamente argomentata. Il tentativo, sempre esperito dalla Fondazione nei casi di sovra-indebitamento, per quanto ovvio, mira alla riduzione della esposizione complessiva del debitore mediante accordi a “saldo e stralcio”. Questa azione non è svolta arbitrariamente o per iniziativa della Fondazione: le attività transattive sono autorizzate, in un mandato più ampio e più generale, sottoscritto dal debitore.

La ricomposizione dello stato passivo, quasi sempre rappresenta la via necessaria per poter permettere l’intervento della Fondazione: la riduzione tende a ricondurre l’esposizione complessiva ad ammontare tale da poter essere finanziato da unico prestito, che comporti però il pagamento di rate sostenibili, adeguate cioè alle risorse di reddito del debitore.

La Fondazione, difatti, a chiusura di questo lungo processo, estingue tutti i debiti preesistenti ed il debitore avrà un unico impegno, rappresentato dal prestito erogato.

Val la pena, infine, sottolineare che l’intervento della Fonda- zione è limitato, solo ed esclusivamente, alla estinzione di debiti pregressi.

Il processo di ricomposizione del passivo è essenzialmente tecnico e richiede non solo adeguate conoscenze giuridiche, ma anche un’attenta analisi finanziaria. La svolta operata nel complesso procedimento che dal colloquio porta alla delibera dell’intervento, è stata possibile grazie alla cooptazione di un volontario, analista finanziario ed ex bancario, preparato a certi tipi di studi. Ci riferiamo a Franco Lucchino, che con alto spirito di dedizione sta svolgendo il suo incarico di membro del Consiglio Direttivo. Egli, inoltre, in collaborazione col Comitato Tecnico Esecutivo e col Presidente segue tutto l’iter delle istruttorie delle richieste di credito fino alla formulazione della proposta da presentare in Banca, per la definitiva erogazione del prestito.

La storia di ogni organismo è fatta, nel bene e nel male, dall’azione degli uomini che lo rappresentano e che per esso agiscono e interagiscono; ed è soprattutto una storia di uomini. Anche quella che stiamo raccontando è una storia di uomini: quella dei tanti fratelli bisognosi che ci hanno raccontato i gravi problemi che li affliggevano, quasi sempre con dignità, umiltà e compostezza. Di fratelli che con lealtà ci hanno raccontato delle cause del loro dissesto, assumendosene le colpe e le responsabilità.

Umiltà e responsabilità: due grandi qualità che nel cammino fin qui percorso ci hanno aiutato a crescere e che ci hanno arricchito interiormente.

La storia, infine, di uomini che spinti dal desiderio di aiutare il prossimo con spirito cristiano secondo le parole di Gesù “fate questo in memoria di me”, hanno deciso, in un certo momento della loro vita, di mettere a disposizione di altri, tempo, lavoro, professionalità e sacrifici. Sotto questo aspetto, il lavoro espresso nella gestione della Fondazione è stato, per tutti noi, altamente gratificante; l’impegno che abbiamo profuso in  questa  attività  è  stato  ampiamente ripagato dalla soddisfazione di avere avviato a soluzione i gravi, alcune volte, immani problemi di tanti fratelli bisognosi, che a noi si sono affidati.

Tornando al “ripensamento” organizzativo e alle idee-guida poste alla base della operatività della Fondazione, abbiamo potuto dare, forse, l’impressione che esso sia improntato ad eccessivo tecnicismo e che, al vaglio pratico, esso possa portare a conseguenze troppo restrittive e/o selettive, che non aiutino il malcapitato debitore. Certo, non è lavoro di poco conto, ma è altrettanto vero che, scelta una via da seguire, si proceda, poi, al suo esame e ad attente verifiche. Queste hanno dimostrato che:

  • il numero delle pratiche respinte dalla Banca Convenzionata è pressoché nullo se si escluda il braccio di ferro relativo all’entità della Garanzia del Fondo, che le Banche richiedono quasi sempre nella misura del 100% pur in presenza di garanzie reali quali l’ipo- teca. Il mancato respingimento delle proposte che la Banca potrebbe frapporre, pur con la discrepanza rilevata, dimostra, evidente- mente, la validità dell’istruttoria. Con ciò non vogliamo dire che i rapporti con la Banca Convenzionata di turno siano “rose e fiori”; tutt’altro! E lo evidenzieremo in prosieguo;
  • l’ammontare delle pratiche insolute (sofferenze) è pari al 7% circa del totale dei prestiti erogati. Pesa sulla determinazione di questa percentuale, per più di due punti, la mancata gestione dei crediti da parte della ex Banca Convenzionata che ha fatto prescrivere le azioni legali di alcuni prestiti per circa € 40.000. Per l’anno in corso si prevede che la percentuale possa restare invariata, anche perché stanno rientrando alcune sofferenze;
  • le pratiche erogate (prestiti concessi) sono in sensibile incremento. Solo nell’anno 2016, le erogazioni hanno raggiunto la punta massima di € 815.000. Negli anni successivi, 2017 e 2018, le erogazioni, si sono attestate, in media, a poco più di € 700.000, pur considerando gli ingiustificati ritardi frapposti dalle banche nelle loro istruttorie;
  • i mutui ipotecari che rappresentano il 55% del totale dei prestiti erogati sono quasi tutti in regolare ammortamento ed evidenziano in casi sparuti presenza di rate insolute e/o in mora.

Riconosciamo però che ciò sia stato favorito dal contesto socio-economico locale, caratterizzato da standards elevati dei dissesti, non ché dall’esistenza diffusa di possidenze immobiliari e dalla disponibilità da parte di congiunti a costituirsi terzi datori di ipoteca.

LA REVISIONE DELLE STRUTTURE ISTITUTIVE ED OPERATIVE.

Il ripensamento organizzativo ha anche riguardato altri aspetti, ritenuti necessari al miglioramento dell’assetto istituzionale e funzionale della Fondazione.

Nell’anno 2016 abbiamo portato a termine la revisione dello Statuto, recependo, tra l’altro, le disposizioni di cui al Decreto Legge 460/97 riguardante le ONLUS ed attualmente, ricevuto il nulla-osta dall’Agenzia delle Entrate, la Fondazione è iscritta nell’Albo delle Organizzazioni non profit (Onlus), destinatarie del 5 per mille. Con riferimento all’anno 2018 abbiamo già ricevuto alcuni versamenti, anche se di piccolo ammontare; essi sono destinati ad aumentare negli anni avvenire, con un’azione di sensibilizzazione più incisiva presso i nostri assistiti.

Nello stesso anno, abbiamo messo in liquidazione il rapporto con la Banca Convenzionata, scegliendo altra Banca operante su piazza.

Cambiare Banca non è mai evento indolore: è in atto, un contenzioso con la ex banca convenzionata, sfociato in numerosi reclami al competente Ufficio della stessa ed in due ricorsi, presso Istituzioni terze quali l’Arbitro Bancario e Finanziario e Banca d’Italia. Gli esiti dei reclami e dei ricorsi, volti ad una ricomposizione bonaria della vertenza dovuta a gravi irregolarità nella gestione del rapporto che hanno provocato danni di una certa rilevanza, non hanno sortito nessun effetto a causa della insensibilità e della pervicace protervia della Banca.

L’Arbitro, addirittura, si è chiamato fuori perché la vertenza, a suo dire, era di importo superiore ad € 100.000, e quindi eccedente i limiti di sua competenza. La decisione, invero, ci ha lasciato perplessi; l’Arbitro, difatti, è stato adito, non tanto per quantificare danni, ma soprattutto per accertare se la gestione del rapporto fosse stata condotta secondo i patti convenzionali e, quindi, se fosse legittimo il blocco di Fondi in presenza di moltiplicatore, considerato l’accordo intervenuto tra ABI e Consulta nel dicembre del 2015. In altri termini, l’Arbitro avrebbe dovuto dare risposta ai due seguenti quesiti:

  1. se la Banca avesse gestito il rapporto in modo corretto ed in ottemperanza delle norme pattuite per Convenzione;
  2. se fosse legittimo il blocco dei fondi, stante l’intervenuto Accordo sopra citato.

Di sicuro la decisione avrebbe comportato onerosi accertamenti, lontani dall’usuale routine, ragion per cui si è presa, molto opportunamente, la scorciatoia dei limiti di competenza.

La decisione dell’Arbitro, costringeva la Fondazione a dover ricorrere, come ultima chance, al Giudice Ordinario, passando prima dalla fase procedurale, obbligatoria per legge, ed individuabile nel cosiddetto tentativo di conciliazione.

Il 25 gennaio 2019, le parti (Banca e Fondazione) si sono incontrate, davanti all’Organo di Mediazione. In quella sede la Fondazione presentava le sue istanze, elencando minuziosamente gli abusi e le irregolarità commesse dalla Banca nella gestione del rapporto e chiedendo altresì, la refusione dei danni sofferti.

Nell’incontro successivo, la Banca riconosceva danni per ammontare di circa € 70.000, tra i quali il totale accollo di prestiti in sofferenza da tempo prescritti, ma non riconosceva altre palesi violazioni convenzionali denunziate dalla Fondazione che, se non rimosse e/o reiterate, avrebbero seriamente compromesso l’attività futura della stessa. La più vistosa riguardava il blocco illegittimo di fondi, per importo superiore ad Euro 600.000. Il blocco era dovuto a manifesta ignoranza delle disposizioni contenute nel recente citato Accordo tra ABI e Consulta, che regola, tra l’altro, con semplici formule aritmetiche, la portata e gli effetti del moltiplicatore, allegato in visione alle memorie ed alle rivendicazioni della Fondazione.

Quell’accordo, per effetto del moltiplicatore Uno-Due, prevede il blocco di fondi a garanzia per importo pari alla metà delle esposizioni residue dei prestiti. La Banca pretende invece il loro blocco totale, tenendo impegnati fondi per circa € 600.000 in più del dovuto.

L’Organo di Mediazione, senza entrare nel merito della que- stione, constatate, in modo asettico, le divergenti posizioni delle parti, dichiarava chiuso il tentativo di conciliazione, legittimando, così, il superiore ricorso al Giudice Ordinario.

La procedura, che si è svolta nei termini testé descritti, ha destato in noi molte perplessità. In altri termini non abbiamo compreso la necessità di dover ricorrere ad un Organo di Mediazione se questo si limita, in modo asettico, solo a riscontrare le divergenti posizioni delle parti: queste sussistevano, in modo palese, ancor prima della constatazione da parte del Mediatore, tanto che aveva- no generato la controversia.

Più esattamente:

  • perché la procedura viene pomposamente denominata tentativo di mediazione se l’Arbitro adito si limita solo alla constatazione delle divergenti posizioni delle parti?
  • Inoltre: se il tentativo ha come scopo la desistenza da eventuali processi, lunghi e costosi, l’azione del Mediatore, oltre alla constatazione dei fatti, non richiederebbe semmai una sua autonoma valutazione, che potrebbe favorire od essere di stimolo preventivo alla ricomposizione delle differenti posizioni?

Dobbiamo confessare, considerata la nostra esperienza, di non avere compreso appieno né gli scopi né la necessità di ricorrere all’ esperimento della procedura per altro imposta dalla legge.

Intanto osserviamo che la rimessione del giudizio al preventivo esame del mediatore abbia comportato il modico esborso, si fa per dire, di circa € 2.500, oltre le spese, in quanto l’Organo di Conciliazione ha considerato l’importo della controversia compresa nella classe oltre gli Euro 2.500.000 e che tale classe di importo sia stata determinata, considerando il blocco di fondi sul quale, per altro, non è intervenuta nessuna valutazione e/o determinazione.

In conclusione, il tentativo di conciliazione ci è sembrato, per quanto abbiamo potuto constatare, un inutile orpello burocratico. Ma era obbligatorio seguire la via imposta dal legislatore e abbiamo pagato anche il balzello, con gravi conseguenze per le esangui risorse della Fondazione, che essendo ONLUS non ha scopi di lucro e che per pareggiare il conto economico ha bisogno di contributo integrativo dello Stato. Tanto ci induce ad un’ulteriore considerazione: è veramente grave che il legislatore non abbia previsto il gratuito patrocinio per gli operatori del cosiddetto terzo settore, che grazie all’impegno di volontari consentono allo Stato di svolgere, gratuitamente, importanti funzioni di carattere sociale.

Ritornando alla storia,  rileviamo che ancor prima dell’inizio della vertenza, la Fondazione si rivolgeva ad altro Istituto di credito, di dimensioni locali, operante sul territorio, per la stipula di nuova Convenzione e l’avvio di un nuovo rapporto. L’accordo veniva stipulato nell’aprile 2016 e diveniva immediatamente operativo. Nella fase preliminare alla stipula, la Fondazione si è soprattutto impegnata nella redazione di un nuovo testo di Convenzione, in sostituzione di quello standard esistente. La revisione, si rendeva necessaria a seguito dei nuovi accordi intervenuti tra ABI e Consulta Nazionale Antiusura, del dicembre 2015.

In più, si avvertiva la necessità di definire in modo più chiaro alcune norme riguardanti la gestione del rapporto Banca-Fondazione al fine di evitare fuorvianti interpretazioni, che erano state la causa principale del contenzioso con la ex Banca Convenzionata. L’adeguamento, in particolare, ha riguardato: la gestione dei crediti e delle eventuali insolvenze, gli effetti del moltiplicatore e la misurazione degli impegni a carico del Fondo in caso di revoca della Convenzione e/o di interruzione del rapporto.

Il nuovo accordo è certamente migliorativo rispetto al precedente, innanzitutto perché sono stati eliminati, con la revisione anzidetta, possibili cause di controversie e poi perché sono state concordate migliori condizioni di tasso e maggiori durate dei prestiti non che lo snellimento delle pratiche burocratiche.

In particolare:

  • sono state aumentate le durate dei prestiti, sia chirografari che ipotecari, portandole, rispettivamente, a 84  e  180  mesi,  contro  i 60 e i 120 mesi, inflessibilmente mantenuti invariati, per oltre 13 anni, dalla ex Banca convenzionata, nonostante  le  nostre  continue e pressanti richieste riguardanti  la  dilatazione  delle  scadenze. La durata dell’ammortamento dei prestiti  è  elemento  operativo molto importante perché  la  maggiore  diluizione  nel  tempo dei pagamenti riduce le rate e le fa diventare più sopportabili e comunque  maggiormente  sostenibili   dalle   capacità   reddituali del debitore. Le più lunghe durate dei prestiti, costituiscono, di sicuro, l’elemento di novità più qualificante del nuovo accordo in quanto permette una maggiore e più efficiente operatività;
  • data la dimensione locale della nuova banca, l’interlocuzione è immediata, o per lo meno dovrebbe essere tale  (il  condizionale è d’obbligo perché, ahinoi, anche se locale si tratta sempre di banca) ed i ritardi nell’approvazione delle pratiche, pur sempre presenti, sono sensibilmente diminuiti;
  • infine, le giacenze liquide hanno trovato remunerazione, concordando un adeguato tasso fisso di interesse, contrariamente a quanto avveniva con la ex Banca Convenzionata che li trattava, a tasso zero, perché il rendimento era commisurato al tasso di riferimento, divenuto, da più tempo, addirittura negativo.

CONSUNTIVO DEL LAVORO SVOLTO.

A questo punto della storia è necessario, com’è d’obbligo ad ogni Ente che con la sua attività si rivolge al pubblico ed opera con denaro pubblico, dare conto del lavoro svolto, con particolare ri- guardo alle finalità istituzionali, prima fra tutte la prevenzione del fenomeno usuraio.

Del periodo buio attraversato dalla Fondazione, durato più di dieci anni, abbiamo già detto. Il lavoro svolto negli anni compresi tra il 1998 e il 2007 è piuttosto modesto; l’ammontare dei prestiti erogati è di poco superiore ad € 600.000, pari cioè al 10% dell’importo complessivo dei prestiti erogati, ad oggi, dalla Fondazione. Purtuttavia,  essi  restano  ragguardevoli  se  rapportati  agli  esigui mezzi a disposizione.

Inoltre, quel periodo, contrassegnato più da rifiuti che da erogazioni di prestiti, ha prodotto strascichi notevoli che hanno investito anche l’andamento di alcuni esercizi futuri: levare le ruggini accumulate è stata operazione difficile e molto faticosa.

Alla lunga, però, il “passa-parola” ha prodotto i suoi effetti. Nel periodo gennaio  2008/dicembre  2018,  l’attività della  Fondazione ha subito una notevole accelerazione, sia per i cresciuti  mezzi a disposizione, sia per la maggiore snellezza, che nella fase iniziale del rapporto ha dimostrato, tutto sommato, la nuova Banca Convenzionata.

Le mutate condizioni operative ci hanno permesso di raggiungere importanti traguardi che possono essere così riassunti:

–   sono stati concessi prestiti per ammontare pari a circa € 6.000.000;
  • Il Fondo di Garanzia Antiusura, regolarmente alimentato dalle contribuzioni dello Stato, alla fine dell’esercizio 2018 si è attestato a circa € 2.700.000;
  • per effetto del moltiplicatore 1-2 il Fondo, consente di effettuare operazioni per importo complessivo di € 5.400.000. Esso, al 31.12.2018, tenuto conto della percentuale media di garanzia prestata (80% circa), risulta impegnato per importo complessivo di circa € 3.000.000 e consente una residua operatività, di poco superiore a €  2.400.000, al  lordo del rientro mensile dei prestiti. Non è tanto, considerato il flusso dei contributi del Ministero, attestatosi ad importo medio annuale non superiore ad € 150.000 e tenuto anche conto della cresciuta operatività della Fondazione. Confidiamo comunque nel volume basso delle sofferenze (circa il 7%), che assicura un presso ché normale rientro dei prestiti; il dato è incoraggiante e superiore alle aspettative, soprattutto se si considerano le condizioni di dissesto finanziario di partenza dei debitori. Inoltre le sofferenze risultano  concentrate nel periodo iniziale della vita della Fondazione, contrassegnato da deficitaria organizzazione e da scarsa conoscenza dell’evoluzione dei prestiti a favore di soggetti a rischio (comportamenti del debitore). Inoltre, quel periodo, è anche contrassegnato dalle gravi omissioni, nella gestione del servizio, cui è incorsa la Banca contro la quale abbiamo avviato formale contenzioso; la cattiva gestione dei crediti da parte della Banca, ha inciso, secondo nostri calcoli, commisurati al solo ammontare dei prestiti prescritti, per almeno 2 punti percentuali. L’indice effettivo delle sofferenze pertanto, si adeguerebbe al 5% effettivo del totale complessivo dei crediti. Dato a dir poco sorprendente, se rapportato alle sofferenze lorde bancarie, concesse a clientela ordinaria, e non borderline, qual è quella della Fondazione, che ascendono a percentuali quattro volte superiori. (1)

Questa considerazione ci dà lo spunto per mettere in risalto un’altra circostanza che complica i rapporti Banca-Fondazione, anticipando quanto andremo a riferire in seguito. Le Banche tengono in pessima considerazione i debitori assistiti dalla Fondazio-

(1) La determinazione delle sofferenze lorde delle Banche è stata effettuata su dati ufficiali ABI, riferiti ai primi due mesi dell’anno in corso, tenuto conto degli accantonamenti per perdite riferiti agli anni precedenti. Precisamente: sofferenze lorde rilevate € 90 miliardi + € 173 miliardi di perdite accantonate = € 263 miliardi di sofferenze lorde su un ammontare di crediti pari a € 1.304 miliardi. Quindi: 263 x 100: 1304= 20.16%. essi sono considerati alla stregua di paria, di elementi coi quali non avere rapporti di nessun genere e sono definiti, con evidente saccenteria, clientela borderline. Tali considerazioni negative non sono minimamente scalfite né dal piano di risanamento avviato e portato a termine dalla Fondazione, oggetto di circostanziata esposizione nelle istruttorie, né dall’andamento dei prestiti che presentano sofferenze quattro volte inferiori a quelle bancarie. La Banca giudica sempre con idee preconcette e per stereotipi: è una mentalità radicata nel loro modo di agire e, a nostro avviso, è una del- le cause principali dell’involuzione di un Sistema malfunzionante ed inadeguato a recepire le istanze della collettività, specie quelle delle Fondazioni Antiusura; guardano quindi con sospetto eccessivo non solo l’attività della Fondazione ma anche i destinatari dei prestiti da essa proposti, tanto che verrebbe loro negato,  finanche  il servizio bancario di base, consistente nell’accensione di c/c senza convenzione ad emettere assegni, necessario per  la canalizzazione dello stipendio e il servizio Bancomat necessario all’utilizzo di eventuali somme disponibili; il servizio bancario di base è stato, invece, creato proprio per i protestati e non può essere negato a chicchessia. Abbiamo rilevato numerose posizioni del genere, poste in essere con evidente sopraffazione ed in totale dispregio delle regole che attengono al funzionamento del servizio di base, non ché dei patti stabiliti per Convenzione che impongono, appunto, l’obbligatoria concessione dello stesso. I numerosi casi sono stati rimossi solo a seguito di formale diffida della Fondazione.

Dell’ostilità delle Banche e delle sue conseguenze diremo, più approfonditamente in appresso.

Tornando alle sofferenze, ci sia consentita un’ulteriore considerazione: la loro bassa rilevanza è chiara dimostrazione che l’azione della Fondazione non è stata vana. In altri termini è indizio probabile, di come essa sia riuscita a far cambiare le cattive abitudini del debitore: questi ha compreso i rischi che ha corso col pregresso sovra-indebitamento, rimosso dalla Fondazione, ed ha dato ai suoi comportamenti finanziari l’auspicato senso di responsabilità.

Il debitore, con l’assistenza della Fondazione, ha legittimato, in altri termini, il suo reinserimento nel mercato del credito, senza più bisogno né di aiuti né di supporti, morali o finanziari che essi siano.

Questi comportamenti sono anch’essi ascrivibili al ripensamento organizzativo. Difatti nella fase istruttoria, condotta sempre in contraddittorio col debitore, non vengono analizzati solo gli errati comportamenti finanziari causa del sovraindebitamento, ma si mira soprattutto a sondare la consapevolezza del debitore, condizione necessaria per non ricadere negli stessi errori del passato.

L’analisi non dà sempre esiti positivi, tant’è che il rapporto tra le pratiche esaminate e quelle erogate è di poco superiore al 55%: le richieste totali di prestiti, difatti, ascendono ad importo di circa € 11.500.000 e l’importo dei prestiti erogati è pari a poco più di € 6.000.000. Quindi, solo poco più della metà delle richieste trova favorevole accoglimento da parte della Fondazione. Tanto potrebbe ingenerare la convinzione di un’eccessiva selettività delle richieste presentate ed istruite con eccessiva severità dagli analisti della Fondazione.

Il basso indice di pratiche erogate rispetto alle richieste, al di là degli esiti negativi dell’analisi sopra descritta, è solo apparente. Esso, difatti, è grezzo e non tiene conto di altre motivazioni che inducono la Fondazione a non accogliere molte richieste. Valgano, tra tutte, le seguenti:

  • la maggior parte delle richieste respinte presenta situazioni di sovra- indebitamento superiori ad € 100.000, limite massimo dei prestiti concedibili dalla Fondazione. Queste richieste riguardano, per lo più, imprese in fase di decozione che richiedono l’intervento di Organismi e/o di Istituzioni diversi dalla Fondazione;
  • altra categoria riguarda situazioni, certamente gravi e disperate nelle quali a fronte di un elevato sovra-indebitamento non esistono risorse di reddito, né del richiedente, né dei suoi familiari (leggasi: garanzie aggiuntive), sufficienti ad assolvere ai nuovi impegni, ancor ché sostitutivi e di ammontare ridotto.
  • Infine, esplicitando l’analisi condotta in fase istruttoria, solo accennata, deve emergere che il sovra-indebitamento sia stato determinato da serie, valide, urgenti ed improrogabili  necessità e non per effetto di smodato consumismo, tendente a dare alla famiglia un tenore di vita che altrimenti non si sarebbe potuto permettere. L’analisi dei comportamenti del debitore che hanno determinato il sovra-indebitamento è imprescindibile; le richieste dei consumisti per vocazione intellettuale, dei giocatori d’azzardo e quelle degli scialacquatori non sono prese in nessuna considerazione. Questi, difatti, una volta rimosse le momentanee difficoltà finanziarie, tornano, alle abitudini originarie.
Concludendo: i prestiti garantiti dalla Fondazione devono essere restituiti e sono legati tra di loro da uno stretto vincolo di solidarietà. Il rientro graduale fino alla loro estinzione, libera risorse per altre erogazioni e pertanto sono concessi solo a persone che mostrino un serio, documentato e consapevole ravvedimento.

Abbiamo accennato al gioco d’azzardo. Esso sta diventando fenomeno molto diffuso, tanto da costituire una vera e propria emergenza sociale. È merito della Consulta Nazionale Antiusura e del suo presidente Mons. Alberto D’Urso, avere promosso studi, conferenze, mobilitazioni di personalità della cultura e della politica e di esperti, diretti alla migliore conoscenza del fenomeno, della sua pericolosità e della sua diffusione, proponendo anche rimedi necessari a reprimerlo.

Dagli studi e dalle rilevazioni viene fuori uno spaccato veramente preoccupante: il gioco d’azzardo, è maggiormente diffuso tra le classi meno abbienti ed è altro sicuro veicolo della diffusione dell’usura.

Le Fondazioni però non possono ripianare i debiti di gioco: l’eventuale aiuto equivarrebbe ad un sicuro incoraggiamento del fenomeno.

Il giocatore d’azzardo, il ludopatico, ha bisogno, semmai, di trattamenti di diversa natura.

L’OPERATIVITA’ COI FONDI PROPRI

(di proprietà della Fondazione).

Esaminiamo, infine, l’operatività coi fondi propri; quella cioè relativa agli interventi a favore di fratelli bisognosi sotto forma di sussidi e/o di micro-crediti, che hanno gestione separata dall’attività di prevenzione, che resta la finalità primaria della Fondazione.

In questo campo sono stati effettuati più di 70 interventi per importo complessivo superiore ad € 120.000.

Andiamo purtroppo constatando che le richieste di interventi per sussidi e per micro-crediti, destinate a urgenti ed inderogabili bisogni di sostentamento, con il mordere della crisi economica, diventano sempre più numerose e pressanti.

La concessione sia nella forma di prestiti che di sussidi, per le mutate disposizioni statutarie introdotte di recente, è però subordinata alla condizione che il loro ammontare sia attestato alla misura massima del 20% del patrimonio netto della Fondazione, ultimo rilevato.

Ad  oggi,   considerato  che  il   patrimonio  netto,   riferito  al 31.12.2018 è pari ad € 126.000 circa, l’esposizione per questi interventi non può superare l’importo di € 25.000.

Gli interventi, anche quando concessi sotto forma di prestiti, restano per buona parte insoluti e pertanto, di anno in anno, sommati ai sussidi, intaccano eventuali surplus e/o riserve determinati dalle vicende delle spese e dei proventi di gestione. E nel caso in cui avanzi e riserve fossero insufficienti, le insolvenze sono portate, necessariamente, a decurtazione del netto patrimoniale.

La circostanza va tenuta nel debito conto. Il capitale netto, difatti, non può attestarsi al di sotto di certi limiti, sia per vincoli di legge che per necessità funzionali: questo è il motivo che ha indotto il Consiglio Direttivo alla cennata modifica statutaria.

Considerato quindi che la maggior parte di questi prestiti non viene restituita, la loro erogazione deve essere necessariamente subordinata a contribuzioni esterne destinate allo scopo. La Fondazione ha limitati mezzi a disposizione soprattutto perché le rendite non sono sufficienti, in via ordinaria, a coprire le spese di gestione, tanto che il pareggio economico è assicurato dal provvidenziale contributo in conto spese, erogato dal Ministero nella misura dell’80% del totale dei costi di gestione, con il rispetto delle condizioni seguenti:

  • il contributo non può essere superiore al totale degli interessi per- cepiti;
  • esso riguarda la sola attività di prevenzione, ex art. 15 L. 108/96. Per il raggiungimento dell’altro fine sociale della Fondazione,

l’aiuto ai bisognosi ha provveduto, finora, la Curia, con contributi destinati allo scopo.

A tal proposito vorremmo esprimere alcune nostre personalissime considerazioni. Oggi, sul mercato finanziario, vi è abbondanza di Istituzioni create per la concessione del cosiddetto micro-credito, tra le quali ricordiamo Finetica, forse la più importante. Orbene, le vicende fin qui narrate hanno messo in chiara evidenza che con prestiti fino ad € 5.000 (limite massimo del micro-credito), certamente non si risolvono i problemi del sovra-indebitamento. Inoltre, nel mercato locale esistono sparute iniziative che con modici finanziamenti possano risolvere od avviare a soluzione i loro problemi. Durante il ventennio dell’attività della Fondazione abbiamo esaminato un solo caso del genere, riguardante l’avvio di un commercio ambulante. Tanto premesso il ricorso della Fondazione al micro-credito è stato, necessariamente nullo, nonostante essa sia stata invitata da diversi Organismi finanziari di erogarlo in concessione. I prestiti di piccolo importo restano, quindi, veri e propri crediti di sostentamento e non possono essere camuffati come occorrenze di carattere economico per permettere l’avvio o la ripresa di attività economiche o per risolvere occorrenze solo eventuali delle famiglie. Essi vengono sempre richiesti per sopperire a vere e proprie esigenze, non di temporanea, ma di totale indigenza e pertanto destinati, nella maggioranza dei casi, a sicura insolvenza, per insussistenza di risorse economiche tali da permetterne la restituzione. Ciò stante, abbiamo sempre ritenuto impraticabile il ricorso a questa forma di finanziamento per il tramite di società finanziarie terze, certamente non disponibili a operazioni del genere, una volta constatata, a seguito di istruttoria, l’insussistenza di fonti di rimborso. C’è di più: le richieste di aiuto da parte di fratelli bisognosi sono impellenti e non possono sopportare né le lungaggini burocratiche delle istruttorie né l’eventuale (anzi quasi sicuro) rifiuto della Società Finanziaria di turno.

Tanto considerato e tornando all’aiuto ai bisognosi, il pla- fond (20% del patrimonio netto) non può essere superato!

La misura imposta dalle recenti revisioni statutarie è stata a lungo meditata al fine di consentire la salvaguardia del patrimonio minimo della Fondazione, imposto per legge e al fine di non provocare sensibili decrementi del netto complessivo (€ 126.000), in misura tale da portare pregiudizio all’attività della stessa. Da qui la necessità di ricorrere, alla bisogna, alle contribuzioni esterne.

Le somministrazioni di  fondi da parte della Curia, destinate allo scopo, una volta puntuali e di importo di € 10.000 annuo, sono diventati, dopo una lunga interruzione, sporadici e di importo più limitato, causa gli impegni della Chiesa lametina nelle molteplici attività caritatevoli e di sostegno, in una realtà economica locale che va sempre più degradandosi. La ripresa della somministrazione del contributo, ancor ché di limitato importo, è ripreso solo da qualche anno, grazie alla sensibilità di S.E. mons. Cantafora, particolarmente attento alle attività della Fondazione.

Certo, la Fondazione aspirerebbe esercitare questa funzione, in modo più capillare ed incisivo perché, tra l’altro, ha maturato esperienza ventennale ed ha quindi conseguito professionalità adeguate alle necessarie valutazioni e alla selezione delle richieste. Auspicheremmo, pertanto, che le contribuzioni della Curia, dirette allo scopo, fossero erogate in misura adeguata e con maggiore puntualità e continuità; condizioni, queste, che ci permetterebbero una più compiuta programmazione degli interventi.

Ci sia consentito, a questo punto, di rivolgere un cordiale saluto e sentiti ringraziamenti a S.E. Monsignor Cantafora che ci lascia per raggiunti limiti di età. I ringraziamenti oltre che sentiti sono anche doverosi: Egli è sempre stato vicino, e non solo spiritualmente, alle attività della Fondazione nei cui confronti ha sempre dimostrato grande benevolenza e comprensione, esprimendo, in modo tangibile, la sua riconoscenza alla Fondazione ed ai suoi operatori, per l’opera da loro prestata a favore della collettività.

L’ultima attenzione nei confronti della Fondazione, pochi giorni prima del suo commiato, è stata la ristrutturazione dei locali della Sede sociale.

Grazie Eccellenza.

LE ATTIVITA’ COMPLEMENTARI DELLA FONDAZIONE

La legge oltre alla prevenzione del fenomeno usuraio, assegna alle Fondazioni l’esercizio di altre attività, non meno importanti, riconducibili all’educazione finanziaria e alla diffusione della cultura anti-debito, che abbiamo meglio definito come istruzione e guida all’indebitamento responsabile.

Indebitarsi in modo responsabile e consapevole, significa che i debiti, una volta contratti, bisogna onorarli, e l’espressione ci sembra sia esaurientemente significativa. Pertanto l’assunzione di un debito deve essere un atto responsabile: si ricorre al prestito solo se esso sia necessario e indispensabile e dopo aver valutato che esistano risorse di reddito tali da permetterne la restituzione.

La Fondazione, in questo campo, si è impegnata in una serie di Convegni e di Riunioni, presso scuole e circoli privati.

Nel tempo, constatando il comportamento di Banche e Finanziarie quale era dato desumere dalle istruttorie delle situazioni di dissesto finanziario sottoposte al suo esame, la Fondazione si convinceva che molti casi di sovra-indebitamento fossero da attribuire ad una scarsa e/o inesistente educazione Finanziaria.

La scarsa ed inadeguata cultura finanziaria degli italiani è conclamata ed è stata oggetto di attenzione non solo da numerosi studi e da indagini statistiche ufficiali, ma trova anche conferma nei passati e recenti scandali finanziari, purtroppo anche locali, perpetrati nei confronti di milioni di risparmiatori italiani.

L’ italiano medio, sia che rivesta i panni del risparmiatore, sia quelli del prenditore, cioè richiedente credito e/o finanziamenti, si dimostra palesemente sprovveduto e sempre di più in balìa degli operatori finanziari. Questi, per loro tornaconto, lo indirizzano a forme di risparmio e/o di prestiti non idonee e certamente non rispondenti alle sue reali necessità, nonostante le tutele predisposte dal legislatore Europeo e poi da quello italiano. Una delle storture più frequenti, riscontrata dalla Fondazione riguarda i finanziamenti di Banche e Finanziarie, sotto forma di mutui chirografari di ingente entità e di cessioni del quinto e del doppio quinto dello stipendio, la cui destinazione dichiarata è l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di immobili di proprietà. I finanziamenti sotto forma di special credito o di cessione del quinto, sono improprie perché ai lavori di ristrutturazione si dovrebbe provvedere con il mutuo fondiario o ipotecario, sia per i suoi minori tassi di interesse, sia per la sua maggiore durata.

Banche e Finanziarie hanno vita facile nella scelta, proponendo forme di finanziamento più svelte e meno complesse del mutuo: esse approfittano di una ingiustificata quanto irrazionale e diffusa avversione del debitore nei confronti dell’ipoteca, che limiterebbe eventuali atti di disposizione dell’immobile. Inoltre, rendono sempre più difficile l’accesso ai mutui ipotecari con tempi di istruttoria lunghi e complicati; ad esempio i mutui ipotecari proposti dalla Fondazione hanno tempi tecnici prestabiliti e devono essere contenuti, per patto convenzionale, entro i trenta giorni lavorativi. Le normali richieste dei privati, invece, ci risulta abbiano tempi di gran lunga superiori, da sei mesi ad un anno. Facendo leva, quindi, sui tempi lunghi di erogazione dei mutui, facilitano l’accesso alle altre forme di prestito; lo slogan pubblicitario di una nota Finanziaria è: da noi basta un giorno!

Le Banche, orientano quindi il debitore verso forme di indebitamento per loro più vantaggiose: i tassi di regolamento dei prestiti chirografari e delle cessioni del quinto dello stipendio sono all’incirca doppi, alcune volte tripli o quadrupli, dei tassi dei mutui fondiari e, di conseguenza, sono più remunerativi. Né è rilevante la pretesa sicurezza del buon esito dei mutui per la sottostante garanzia reale (ipoteca); essa è addirittura ininfluente perché special-credito e cessioni del quinto sono assistiti da garanzie assicurative (premorienza del debitore, perdita del posto di lavoro, etc.) e dal diritto di ritenuta della rata dallo stipendio, decisamente più efficaci dell’ipoteca. Per quanto ovvio, i premi delle garanzie sono scaricati sul debitore, con enormi aggravi dei costi.

L’errato orientamento nella scelta della forma di finanziamento è causa di altri effetti nefasti: i maggiori costi e le minori durate comportano il pagamento di rate di ammortamento di misura doppia, alcune volte tripla, delle rate di un mutuo fondiario o ipotecario che esso sia. Questo non è fatto di poco conto, ma, molto spesso, è la causa determinante, considerate le risorse di reddito del debitore, di altro fenomeno patologico che coincide, con quello del sovraindebitamento. Ed anche questa affermazione non è esercitazione teorica diretta a dimostrare il deviante comportamento di Banche e Finanziarie, ma è constatazione di fatto desunta dagli esami delle situazioni finanziarie dissestate di molti debitori insolventi che si affidano alla Fondazione per la soluzione dei loro problemi. Fino a qual punto Banche e Finanziarie possono perseguire la sola logica del profitto a danno degli sprovveduti clienti?

Lo ripetiamo, i casi del genere, esaminati dalla Fondazione, sono numerosi e la stessa, in queste situazioni, ha dovuto correggere le storture e le prevaricazioni del Sistema Finanziario (le maiuscole sono sempre d’obbligo); essa, addirittura, autorizzata dai debitori, ha anche chiesto conto e giustificazione alla Banca concedente delle sue improprie determinazioni, invitandola a rivedere le sue determinazioni, ovviamente senza nessun esito.

Stante  questa  realtà  è  maturato,  il  convincimento  di  dover intervenire anche nella diffusione dell’educazione finanziaria. La Fondazione si è rivolta al periodico locale “il  lametino” per concordare la pubblicazione di una serie di articoli mirati, a partire dall’anno 2016 e fino al 2018, con cadenza quasi mensile. Quegli articoli hanno riguardato sia l’educazione all’indebitamento responsabile, che l’educazione finanziaria in generale.

In particolare: dato il dilagare del sovra-indebitamento e con- siderate le sue nefaste conseguenze, ci si è soffermati sul fatto che assumere un debito debba essere atto meditato e responsabile, indicando un limite preciso alla capacità ed alla sopportabilità soggettive dell’indebitamento, individuandolo nella nozione di reddito residuo: cioè in quella parte di reddito ancora disponibile, una volta detratte, da quello complessivo, le spese necessarie al sostentamento proprio e della famiglia. Se l’ammontare delle rate per ammortamento di prestiti è uguale al debito residuo si ha una posizione di equilibrio, se, diversamente, il reddito residuo è inferiore si ha sovra-indebitamento.

Indebitarsi in modo responsabile significa, in altri termini, che a monte, prima cioè dell’assunzione di un debito, si sia valutata l’esistenza di questa condizione e quindi decidere, a ragion veduta, se contrarlo, rimandarlo a tempi migliori o rinunziarvi.

Se esistano le condizioni e si ricorre al finanziamento esterno (prestito), ebbene bisogna potere e dovere scegliere la forma di in- debitamento più idonea alle proprie esigenze.

Analoghe considerazioni vanno anche fatte nella scelta degli investimenti dei propri risparmi, frutto di enormi sacrifici e privazioni. La scelta non può essere condizionata dall’abbaglio di sperati e/o promessi alti rendimenti, perché vale sempre il principio secondo il quale più alto è il rendimento promesso o sperato, più alti sono i rischi.

Gli articoli, riprodotti nella formulazione integrale sul sito della Fondazione (www.fondazioneantiusuramoietta.it), nella sezione “documenti, notizie, articoli di stampa”, prendono in esame le più diffuse forme di impiego di risparmio e di prestiti, dando le relative istruzioni per l’uso e perseguendo l’intento di fornire idee-guida nella scelta dei prodotti finanziari, più confacenti alle reali e personali esigenze.

L’educazione finanziaria è argomento meritevole di grande attenzione: il mercato è pieno di trabocchetti e di trappole rivolte a carpire la buona fede degli utenti, specie se sprovveduti e non sorretti, nelle loro scelte, da necessarie ed adeguate conoscenze. Gli strumenti di difesa dell’ignaro consumatore azionati dal legislatore europeo ed italiano, non vengono rispettati, come purtroppo ci hanno insegnato recenti scandali finanziari.

Studi e statistiche condotte da importanti Organismi internazionali, rilevano che gli italiani hanno una preparazione finanziaria deficitaria o presso ché nulla: esistono, ad esempio, numerosi, troppi correntisti che non sanno ancora leggere l’estratto del proprio conto corrente bancario.   Secondo altre, l’italiano medio, in quanto a conoscenze finanziarie occupa il 36° posto delle graduatorie mondiali ed è preceduto da numerosi paesi del cosiddetto terzo mondo. Esiste infine altra statistica la quale rileva che, gli utenti italiani,  nella  stragrande  maggioranza  (63%)  sono  analfabeti  finanziari, essendo privi anche delle nozioni fondamentali e di base della finanza. Circostanza, questa, molto grave se è vero, come autorevolmente viene sostenuto, che il nostro è il Paese nel quale esisterebbe la più alta concentrazione di risparmio familiare del mondo.

Per sopperire alle gravi deficienti conoscenze finanziarie degli italiani è stato istituito di recente, da Consob e MEF, un “Portale dell’educazione finanziaria” (www.quellocheconta.gov.it), rivolto, appunto, a divulgare, con gradualità, nozioni finanziarie dalle più semplici a quelle via via più complesse. Si va inoltre sostenendo, sempre con maggiore insistenza, la necessità di rendere obbligatorio nelle Scuole l’insegnamento degli elementi basilari della finanza.

Si è finalmente compreso che attraverso la conoscenza si possono evitare e prevenire, almeno in parte, le nefandezze perpetrate ai danni dei risparmiatori italiani; è un primo passo, molto importante, ma non sufficiente se poi gli autori dei misfatti restano impuniti e dopo qualche tempo si riaffacciano alla ribalta del mondo finanziario.

I RAPPORTI CON LE BANCHE.

Dulcis in fundo: i rapporti che intratteniamo con le Banche, ai quali abbiamo fatto solo sporadici accenni. Essi sono, difficili e complicati, tanto da richiedere assidui controlli e dispendio di energie; cominciano con la stipula della Convenzione e proseguono, via via, con l’istruttoria, l’approvazione e la gestione dei rapporti accesi agli assistiti dalla Fondazione. Il cammino appena tracciato è contrassegnato oltre che da un ovvio e necessario contraddittorio anche da incomprensioni dovute ad un eccesso di legittima difesa degli Istituti di credito contro debitori con evidenti problemi. Parliamo di eccesso perché esso quasi sempre è preconcetto, difficile da combattere o quanto meno da riportare nel giusto alveo della razionalità.

A raccontare tutte le incomprensioni e le contrapposizioni con le Banche rischieremmo di scrivere un’altra storia ben più lunga di quella fin qui narrata. Ci limiteremo soltanto a denunziare, le incomprensioni, diciamo così, più gravi che, a nostro avviso, favoriscono la diffusione del fenomeno usuraio e sono di intralcio all’azione della Fondazione che l’usura, invece, vuole prevenire e combattere.

Tra l’altro, il Consiglio Direttivo di questa Fondazione, è consapevole che senza l’intermediazione delle Banche non potrebbe operare; non potrebbe svolgere un’attività che però si discosta, per volontà del legislatore, dalle normali procedure bancarie e che pertanto è necessario regolamentare mediante la stipula di Convenzioni, liberamente sottoscritte dalle parti (Banche e Fondazioni).

Regole e Convenzioni vanno però rispettate in quanto si amministrano fondi dello Stato, della collettività, per raggiungere uno scopo di pubblica utilità, la prevenzione dell’usura, con le modalità e le regole fissate dalla Legge 108/96. Pertanto, il controllo del rispetto delle regole è doveroso da parte del Consiglio Direttivo della Fondazione, magari pure stringente e di sicuro facilitato per la pregressa attività lavorativa di alcuni dei suoi componenti che conoscono il mondo Bancario e, soprattutto, le leggi bancarie.

Grazie a queste competenze è stato possibile rilevare le gravi inadempienze di due ex banche convenzionate: una aveva prodotto danni per € 8.500, poi risarciti e l’altra che già in sede conciliatoria riconosceva danni dovuti a sua negligenza per importo superiore ad € 70.000, ma non ritenuti congrui dalla Fondazione che li ha stimati di misura almeno doppia.

Quindi, nessun astio verso le Banche, piuttosto la convinzione, che i controlli vanno effettuati perché la mancata rilevazione ed evidenziazione di errori e/o omissioni riscontrate nella gestione del rapporto, si dimostrerebbe colpevole accondiscendenza e offesa alle professionalità del Consiglio, pur non considerando la natura pubblica dei Fondi amministrati, destinati ad attività di alto valore sociale: la prevenzione dell’usura.

Tanto premesso e addentrandoci nel vivo dell’argomento, rileviamo innanzitutto che il mancato rispetto da parte delle Banche dei patti stabiliti per Convenzione, lascia a dir poco perplessi; ancor più quando si riscontra che queste anomalie di gestione, lungi dall’essere fatto sporadico od occasionale, si verificano con una certa costanza. Ciò avviene ed è avvenuto con tutte le Banche con le quali abbiamo finora intrattenuto rapporti; mutano gli attori, ma la storia è sempre la stessa.

Le Banche, sono portate ad affermare, nei rapporti coi propri clienti, il cosiddetto principio dell’insindacabilità delle loro decisioni che è retaggio dei vecchi contratti di adesione le cui regole sono radicalmente mutate dalle numerose direttive europee recepite dalla legislazione nazionale. La mancata rimozione di tale retaggio, non facilita il dialogo Banca-Fondazione e si rivela quasi sempre un ostacolo insormontabile, appunto perché il rapporto è regolato da patti convenzionali, diretti a limitare quel principio.

Il primo problema, nel difficile rapporto Banca-Fondazione, è costituito dalla fattibilità della proposta di risanamento della situazione finanziaria del debitore momentaneamente insolvente. L’istruttoria della Fondazione, indica, innanzitutto, le cause che hanno determinato il sovra-indebitamento ed espone un piano finanziario attraverso il quale sia possibile la sua rimozione, dimostrandone la sostenibilità attraverso l’esame delle risorse finanziarie (di reddito) del debitore e di eventuali altri soggetti garanti. Essa è diretta, in altri termini a dimostrare soprattutto il buon esito del piano di risanamento proposto, a presidio del quale concede la garanzia del Fondo Antiusura, in misura variabile e contenuta, a seconda dei casi, nei limiti massimi stabiliti per Convenzione, al fine di prevenire eventuali rischi di insolvenza propri di soggetti che non presentano i cosiddetti requisiti di meritevolezza.

In definitiva quello appena tracciato è l’iter seguito dalla proposta di affidamento della Fondazione ed è anche, a ben vedere, l’unico iter percorribile non tanto perché dettato dalla razionalità, ma anche dal disposto dell’art. 15 della Legge Antiusura, il cui intento è di prevenire, mediante l’affidamento garantito dal Fondo, il ricorso del debitore al mercato illegale del credito stante la sua condizione di esclusione finanziaria.

Anche l’istruttoria della Banca, o se si preferisce, la contro-istruttoria, dovrebbe essere svolta nell’alveo tracciato dalla Fondazione. Purtroppo non è così: prevalgono nel contrapposto esame della  Banca solo ed  esclusivamente  i  passati  comportamenti  del debitore ed in presenza di qualsivoglia elemento pregiudizievole a suo carico (protesti anche di importi modesti, procedure esecutive o sofferenze risanate con lo intervento della Fondazione, etc.). In presenza di questi elementi, interviene, molto spesso, il rifiuto inappellabile della Banca, a meno che non si garantisca il prestito in misura superiore a quella proposta dalla Fondazione, richiesta dalla  Banca,  nella  maggioranza  dei  casi,  nella  misura  del  100%, come meglio vedremo in seguito.

La garanzia totale, per quanto ovvio, affranca la Banca da qualsiasi rischio di insolvenza ed essa vi ricorre sistematicamente, in un rigurgito di eccesso di legittima difesa, pur in presenza di idonee garanzie aggiuntive proposte dalla Fondazione riscontrabili o nella cooptazione di coobbligati solventi o, addirittura, in presenza di prestito assistito da garanzia ipotecaria di primo grado.

Siffatto modo di operare, lungi dall’essere fatto sporadico e/o contingente, è prassi generalizzata delle Banche, avendolo riscontrato, finora, e dopo vent’anni di operatività, in tutti gli Istituti di credito coi quali la Fondazione ha intrattenuto rapporti, anche con la Banca di recente convenzionata, che dopo un suo avvio soddisfacente, quasi idilliaco, manifesta già le prime falle e si avvertono i primi scricchiolii, tanto che la Fondazione è stata indotta a stipulare nuova Convenzione con altra Banca, la quarta dall’inizio dell’operatività. Si perpetua così il balletto relativo alla scelta del nuovo partner cui sono destinate, purtroppo, le Fondazioni che in- tendano svolgere una decente attività.

Le Banche, in conclusione, le tentano tutte per non rispettare le regole pattuite per Convenzione e si infischiano sia della prevenzione del fenomeno usuraio perseguito dalla Fondazione, sia, in prospettiva, della bonifica del mercato Finanziario, condotta soprattutto nel loro interesse. La reiterazione di questi comportamenti, per altri versi, resta incomprensibile. Difatti, tutti gli Organi Istituzionali che si interessano delle distorsioni presenti nel sistema dei pagamenti e della distribuzione dei mezzi finanziari del Sistema Economico Italiano, hanno coscienza dei gravi danni prodotti dall’usura e pertanto, assecondando la volontà del legislatore e, al fine di favorire l’attività delle Fondazioni che combattono, con la prevenzione la diffusione di quel fenomeno, hanno promosso e continuano a promuovere iniziative, dirette a facilitare i rapporti tra Banche e Fondazioni Antiusura. Le Istituzioni impegnate nella lotta all’usura sono: il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero degli Interni e le Prefetture, Banca d’Italia, l’Associazione Bancaria Italiana, la Consulta Nazionale Antiusura e ultimi, Fondazioni e Confidi, nella veste di operatori. Tra le iniziative promosse dagli Organi Istituzionali, ricordiamo i protocolli d’intesa e le idee-guida per la stipula delle convenzioni tra Fondazioni e Banche: i primi promossi dalle Prefetture e le seconde da ABI e Consulta Nazionale Antiusura.

Tale mobilitazione è diretta non solo a combattere la diffusione dell’usura e le sue nefaste conseguenze, ma si prefigge anche altro fine non meno importante: la bonifica del mercato finanziario.

A tale riguardo L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) che è preposta all’indirizzo dell’attività delle banche ed alla quale esse sono associate, parla, addirittura, coniando un neologismo, di bancarizzazione dei protestati, con evidente riferimento al fatto che attraverso l’azione delle Fondazioni si allarga, previa bonifica, la platea dell’utenza bancaria a vantaggio soprattutto del Sistema Bancario e Finanziario Italiano.

Ciononostante le Banche restano sorde a questi appelli e sono restie ad applicare sia gli accordiquadro, che le idee-guida, innanzitutto perché essi limitano la loro autonomia decisionale, come abbiamo avuto modo di rilevare, e quindi perché l’attività delle Fondazioni, in quanto diretta a favorire l’accesso al credito dei protestati o dei debitori in situazioni di evidente incaglio finanziario, è in netta contrapposizione col loro modo di operare. Esse non credono nella redenzione del cosiddetto cattivo pagatore: una volta che questi ha sbagliato, il sigillo dell’infamia gli resta impresso per tutta la vita; nella ricostruzione dei passati comportamenti del debitore, diventa rilevante anche il più piccolo protesto, magari avvenuto anni prima e per importo irrisorio.

Probabilmente, in questo modo di operare delle banche è riscontrabile, l’abbiamo già rilevato, un eccesso di legittima difesa: esse, in definitiva, devono salvaguardare il proprio patrimonio prevenendo le sofferenze, la mancata restituzione, cioè, dei prestiti concessi.

Per contro è anche vero che, il legislatore ha ravvisato la necessità, con la Legge Antiusura e con la legge 3/2012, di evitare i disastri del sovraindebitamento, dando la possibilità al debitore di ricomporre la sua posizione debitoria, alla luce del sole, attraverso cioè i canali istituzionali.

Però va anche detto che le sofferenze non si evitano con valutazioni preconcette e con la convinzione che il debitore in momentanea situazione di insolvenza sia irrecuperabile.

Egli, al contrario, se adeguatamente supportato e se in possesso di risorse adeguate, può sicuramente essere recuperato. Le istruttorie condotte dalla Fondazione, mirano, essenzialmente, a dare tale dimostrazione e la loro validità è provata, in definitiva dalla bassa percentuale di insolvenze registrata dai suoi prestiti, che come abbiamo rilevato sono ben quattro volte inferiori a quelle bancarie e questa circostanza è di immediata verificabilità da parte della Banca convenzionata di turno che gestisce i crediti erogati con l’intervento della Fondazione.

Quindi l’idea preconcetta che il cattivo pagatore non possa cambiare le sue abitudini è clamorosamente smentita, alla luce dei fatti, dai suoi comportamenti.

Esistono però, nei rapporti Banca-Fondazione, altre difficoltà di non trascurabile importanza. Difatti se lo scopo immediato perseguito dalle Fondazioni è la prevenzione dell’usura, lo scopo ultimo resta sempre e comunque il recupero del protestato ed il suo reinserimento nel mercato del credito. Se vogliamo, è questo, in definitiva, il fine perseguito dal Legislatore, per il cui raggiungimento ha predisposto ed impegnato risorse non irrilevanti della collettività. Fino a quando le Banche non prenderanno coscienza di questo principio innovativo, rivoluzionario e di giustizia sociale, contenuto nell’art. 15 della Legge Antiusura, la prevenzione resta fine a sé stessa, in quanto l’ex protestato resterà sempre nel limbo degli operatori sgraditi al Sistema ed il ricorso all’usura, prima scongiurato dall’intervento della Fondazione, può diventare, dopo, per il mancato reinserimento del debitore nei circuiti ordinari del credito, atto inevitabile e irreversibile.

Abbiamo sempre tentato, nei rapporti con le Banche, di stabilire un dialogo, diretto sia a far loro comprendere che la bonifica del mercato fosse azione svolta soprattutto nel loro interesse, sia a proporre il reinserimento di numerosi ex-protestati i quali avevano con puntualità ed impegno onorato i prestiti della Fondazione.

A queste richieste, alcune volte accorate, la Banca ha sempre opposto solo e soltanto dinieghi. A giustificazione, hanno eccepito norme regolamentari interne che imporrebbero o che impedirebbero, alla luce dei passati comportamenti del debitore, la sua riabilitazione ed il suo reinserimento nel mercato del credito.

Quei dinieghi, ma soprattutto quelle giustificazioni, provocavano, anche in me, che sono stato bancario per quasi tutta la mia vita lavorativa, un senso di impotenza ed una mal repressa ribellione tanto che, molte volte, mi sono posto ad alta voce la domanda: a chi serve un sistema Bancario che ragiona ed opera in siffatta maniera?

Quando partecipavo questi sfoghi agli amici del Consiglio, c’era sempre qualcuno che mi rintuzzava, ricordandomi, che ero bancario anch’io. Ricordo anche che a quei cordiali sfottò controbattevo che il mio impegno per la Fondazione era sincero e sentito atto di contrizione e anche di redenzione per la mia attività lavorativa.

Di certo, il rapporto Banche-Fondazioni non è dei più facili: cozzano due diverse ed opposte mentalità. Da una parte quella della Fondazione che crede nella rimozione del temporaneo dissesto del debitore e dall’altra la convinzione della Banca che, per idee preconcette, non crede alla via suggerita, anzi: il fatto che il debitore si sia rivolto alla Fondazione, costituisce, di per sé, motivo sufficiente per diffidare della sua credibilità.

Mediare questi due opposti modi di intendere è attività molto spesso ardua e costituisce il principale intralcio all’operatività quotidiana della Fondazione, con notevoli ripercussioni sia sull’andamento generale del rapporto, sia sulla definizione delle singole proposte.

Scendendo nel particolare, le divergenze sopra esaminate sono anche causa principale di altri disservizi, quali:

  1. la mancata gestione dei crediti, che le Banche considerano di altri, di natura extra-aziendale, sovvertendo addirittura non solo i patti convenzionali, ma anche le norme del Codice Civile. Abbiamo già detto dei danni provocati dall’ex Banca convenzionata, per mancata gestione dei crediti; legge e patti sottoscritti stabiliscono che quei crediti devono essere gestiti dalle banche, perché sono loro a concederli ancorché essi siano assistiti dalla garanzia supplementare del Fondo di Garanzia Antiusura. Le Convenzioni ribadiscono chiaramente il concetto e danno indicazioni esaustive, sia sulla gestione dei crediti sia sui comportamenti delle Banche e sulle azioni da perseguire in caso di insolvenza;
  2. ritardi nelle istruttorie, che si devono esaurire categoricamente nel periodo di 30 giorni. I ritardi, hanno vanificato, in alcuni casi, gli accordi “a saldo e stralcio” intervenuti coi creditori per mancato rispetto del termine di versamento degli importi concordati, considerato essenziale e segnalato come tale, a chiare note, alla Banca di turno;
  • la tiritera che viene inscenata, per ogni pratica proposta, in me- rito alla misura della garanzia del Fondo. Le Convenzioni prevedono un range contenuto entro la misura minima del 50% e quella massima dell’80%, mentre la garanzia massima dei mutui ipotecari e del 65%. Vero è che la Convenzione preveda, in casi eccezionali e in presenza di valide motivazioni, che la garanzia possa essere richiesta anche nella misura del 100%, a totale copertura del rischio di credito, come si dice in gergo. Le banche, si appellano sempre a questa eccezionale circostanza e richiedono, per la maggior parte delle operazioni, la garanzia del 100%, ma non danno nessuna giustificazione al richiesto aumento. Quando le Fondazioni obiettano l’insussistenza dei giustificati motivi, le Banche oppongono, in  modo  netto e senza  tanti  preamboli, il ricatto seguente: o si accorda la garanzia richiesta oppure la pratica viene respinta.

Esaurito il cahier de doléances dobbiamo purtroppo convenire che non c’è verso di ricondurre i rapporti con le banche nell’alveo della normalità e ciò ostacola non solo l’efficacia del lavoro della Fondazioni, ma anche il perseguimento delle finalità dell’articolo 15 della legge 108/96, che meritoriamente si occupa della prevenzione dell’usura.

Le Banche non dimostrano nessuna sensibilità ai problemi fin qui denunziati, nonostante siano state accusate e chiamate a difendersi del reato d’usura nella stragrande maggioranza dei processi celebrati in Italia, dopo l’entrata in vigore della Legge 108/96; sarà questo il motivo per il quale dimostrano tanta avversione contro la prevenzione dell’usura e l’azione svolta dalle Fondazioni?

Infine, vorremmo dare la giusta evidenza ad un altro problema strettamente connesso al sovra-indebitamento.

Ci siamo occupati di esso ed abbiamo messo in risalto soltanto l’aspetto soggettivo del fenomeno, quello che riguarda il debitore ed i suoi comportamenti che lo spingono a indebitarsi più del dovuto e, in altri termini, in misura maggiore alle sue possibilità di rimborso.

Esistono però altre cause esterne che favoriscono il sovra-indebitamento e sono da attribuire ai comportamenti del Sistema Creditizio ai quali abbiamo solo accennato, ravvisabili nelle improprie e facili od eccessive concessioni di credito. Entrando nel merito del problema dobbiamo però spezzare una lancia a favore delle Banche: le eccessive concessioni di credito da parte delle Banche lo abbiamo anche riscontrato, ma solo in casi sparuti. Semmai alle Banche è da attribuire la concessione di crediti in forme improprie, non rispondenti alle reali necessità del richiedente, anch’esse produttive, come abbiamo già rilevato, di sovra-indebitamento.

Il fenomeno delle eccessive concessioni riguarda più da vicino le Finanziarie che operano in modo capillare su tutto il territorio nazionale per il tramite dei loro negozi finanziari.

Avvertiamo, ancora una volta, che le nostre analisi si basano sull’esame quotidiano dei casi di sovra-indebitamento posti, all’attenzione, all’esame ed alla valutazione della Fondazione: in un ventennio di operatività i casi esaminati sono superiori al migliaio e costituiscono una base attendibile di osservazione. Ordunque, tutti i casi di sovra-indebitamento analizzati dalla Fondazione, dovuti, per altro, solo ed esclusivamente ad indebitamento verso Banche e Finanziarie, presentano una sequenza che abbiamo definito orrida, che si sviluppa con sistematicità nella coesistenza di posi- zioni debitorie diverse in testa allo stesso nominativo, nelle forme e con la cadenza appresso indicata:

  • Scoperto di conto corrente pari da 2 a 5 volte lo stipendio;
  • Mutuo Fondiario (eventuale);
  • Uno o più special crediti o crediti al consumo;
  • Cessione del quinto dello stipendio;
  • Delega bancaria, che aggiunta alla cessione diventa doppia cessione del quinto dello stipendio;
  • carta revolving che consente, in qualche modo, di estinguere rate morose rivenienti da altri prestiti. Il marchingegno (concessione di credito revolving per eliminare morosità), non fa diminuire il totale dei debiti, ma ne aggrava la consistenza per via degli alti tassi di interessi dei finanziamenti revolving, che veleggiano verso il 30% e passa.

La  rappresentazione  del  sovra-indebitamento  determinato con le cadenze e la tipologia di debiti testé elencata è tale che, in media, è dato rilevare posizioni debitorie in testa allo stesso nominativo che vanno da 3 a 5, con contemporanea presenza di Banche e/o finanziarie diverse, da 3 a 4. Esistono anche casi limite che presentano da 10 a 11 posizioni debitorie diverse verso 6 o 7 differenti Banche e/o finanziarie.

In presenza di siffatte situazioni diventa lecita e scontata la seguente domanda: esiste una remora alla smodata concessione di credito o di crediti a favore delle famiglie consumatrici, giacché l’eccesso di credito alle imprese trova i necessari rimedi nell’esperimento dell’azione di revocatoria fallimentare?

Sembrerebbe di sì, lo abbiamo già rilevato: esiste una direttiva europea recepita dalla legislazione bancaria italiana che impone agli organismi finanziari di essere più selettivi nelle concessioni di credito, tenendo conto gli impegni già in essere a carico del richiedente.

Se il fenomeno del sovra-indebitamento è però dilagante vuol dire che la direttiva europea, recepita dal legislatore italiano, non viene applicata: anzi è palesemente disattesa dalle Banche, in generale, e dalle Finanziarie in particolare. Questi comportamenti omissivi hanno di recente provocato le reprimende di ABI e Banca d’Italia, rivolte a Banche e Finanziarie.

Ma ABI e Banca d’Italia si preoccupano solo delle sofferenze cui potrebbero dare adito le concessioni non selettive e che potrebbero mettere in crisi le Istituzioni Finanziarie.

Il nostro punto di vista è, naturalmente opposto, perché opposto è l’angolo di visuale: non tanto ci preoccupano le sofferenze di Banche e Finanziarie, quanto siamo preoccupati, del fenomeno del sovra-indebitamento che mette in seria crisi la stabilità economica e finanziaria di molte famiglie italiane.

Le eccessive concessioni di credito potrebbero apparire, per altra via, un non senso, ma solo apparentemente.

Esaminiamo, ad esempio, un’operazione di credito molto diffusa che è tra le cause principali di sovra-indebitamento: il prestito assistito da cessione del quinto o del doppio quinto dello stipendio, onnipresente, e concesso, di solito, come ultima chance, al debitore che già presenta gravi sintomi di eccessivo indebitamento. La legge, per queste forme di prestito, impone il rispetto di una sola condizione: che la rata cioè non sia superiore al quinto o al doppio quinto dello stipendio.

Per il resto le operazioni del genere sono del tutto tranquille e sicure perché a monte c’è l’obbligo del datore di lavoro di effettuare la ritenuta dell’importo della rata dallo stipendio o salario, debitamente autorizzata dal debitore. Le Finanziarie, per rendere più sicura l’operazione, si sono anche inventate le assicurazioni contro la premorienza o la perdita di lavoro del debitore, scaricando sullo stesso il costo dei premi. Stando così le cose, che interesse hanno Banche e Finanziarie a valutare gli impegni pregressi del debitore o l’esistenza di eventuali protesti a suo carico? Il pregresso eccessivo indebitamento o l’esistenza di eventuali protesti sono semmai un’opportunità ulteriore: nel senso che essi causano e giustificano un maggiore tasso di regolamento del prestito. Concludendo: se stipendio e salario lo consentono, si concede l’operazione.

Potrebbe rilevarsi in questo modo cinico di operare un even- tuale approfittamento del creditore? Sembrerebbe di no: il fatto in sé non ha nessuna rilevanza giuridica. Qual è, dunque, la sorte dei sovra-indebitati insolventi, divenuti tali per scorretto comporta- mento del Sistema Finanziario?

Presto detto: essi vengono respinti dal Sistema, che quelle inadempienze rileva e ai debitori esclusi, resta, come unica alternativa il ricorso al mercato illegale, quello dell’usura.

Lo ripetiamo, questi comportamenti non sono frutto di nostre illazioni, ma derivano dalla constatazione quotidiana, ricavata dallo studio delle situazioni di sovra-indebitamento sottoposte alla nostra attenzione. Non meravigli quindi il nostro convincimento, che tra le cause della diffusione del fenomeno usuraio, si debbano annoverare, anche e soprattutto, i comportamenti del Sistema Finanziario. Né stupiscano le conclusioni cui è pervenuto l’Eurispes nel citato rapporto “l’Italia incravattata-quando il credito è in nero”, allorché sostiene che la grande diffusione del mercato dell’usura è da attribuire, alle carenze endemiche, di un Sistema Bancario e Finanziario malato che non concede il credito secondo logiche economiche e non orienta le scelte degli utenti perché non le ascolta o è incapace di ascoltarle e comprenderle.

La mission sociale strombazzata dagli Statuti delle Banche Italiane, specie le popolari e le cooperative, fa sorridere.

Ci troviamo, ahinoi, davanti ad organismi che lungi dal promuovere innovazione e sviluppo, si adagiano passivamente sulla loro ingordigia, approfittando di tutte le opportunità di guadagno e di profitto.

Quest’ultima riflessione ci induce a considerare altro problema, che riguarda il reato d’usura, più precisamente la metodologia di calcolo dei tassi soglia.

L’argomento è complesso e merita separate valutazioni.

IL REATO D’USURA

La legge 7, marzo, 1996 n. 108 ha introdotto il reato di usura che si manifesta al superamento di un tasso limite, detto tasso soglia.

Nella legislazione precedente, l’usura (ancora non si parlava di reato d’usura) si identificava nella sussistenza di due concomitanti circostanze:

  1. che il debitore si trovasse in stato di bisogno;
  2. che il creditore ne avesse approfittato, concedendo prestiti a tassi superiori a quelli medi correnti.

Il debitore, in altri termini, doveva provare sia il suo stato di bisogno, sia il fatto che il creditore ne avesse tratto vantaggio.

Tralasciando, le diverse forme di stato di bisogno di cui agli abrogati artt. 644 e 644bis del Codice Penale che disciplinavano la cosiddetta usura propria e quella impropria, a seconda che si trattasse di imprenditore o di persona fisica, al debitore risultava difficile fornire sia la prova del suo stato di bisogno, sia quella dell’approfittamento del creditore; l’usura pertanto restava di difficile individuazione e perseguibilità.

La legge Antiusura, abrogando gli artt. 644 e 644bis, ha stabilito criteri, più oggettivi; almeno queste erano le intenzioni del legislatore e degli esperti che si interessarono all’epoca, dei problemi dell’usura tra cui la Consulta Nazionale Antiusura e i Confidi. Questi, in perfetta buona fede ed animati dalle migliori intenzioni, pretesero, a tutt’i costi, che il tasso usuraio fosse determinato in modo preciso ed inequivocabile, in modo oggettivo (sic!), attraverso la determinazione di un tasso soglia, superato il quale si incorreva nel reato di usura (cosiddetta usura oggettiva).

A nulla valsero le perplessità espresse da note personalità del Mondo Economico e Finanziario sulla inopportunità di determinare un tasso precostituito, da indicare come tasso soglia, per di più calcolato avendo come base, la media dei tassi di regolamento dei prestiti: il procedimento, sostenevano, poteva creare distorsioni perché a fissare i tassi medi era, in definitiva, il Sistema Bancario e Finanziario, influenzando, quindi, anche la determinazione dei tassi soglia, di diretta derivazione dai tassi medi.

Prevalse, purtroppo, la tesi contraria: gli ispiratori della legge sostenevano che l’indicazione del tasso soglia, fosse l’unica via possibile per la definizione del reato di usura e necessaria, altresì, a superare le indeterminatezze di cui alla precedente normativa.

Il Sistema Bancario e Finanziario, assumeva così le vesti di arbitro assoluto nella determinazione del tasso o dei tassi soglia.

Analizziamo in dettaglio il problema.

La metodologia usata per la determinazione del tasso soglia si bassa sui TEGM, acronimo che sta per tassi effettivi globali medi; cioè la media dei tassi applicati dal Sistema a regolamento dei prestiti di ciascuna categoria e specie, comprensivi di tutti gli oneri (spese, commissioni, oneri bancari, eventuali spese di assicurazione, etc.), escluse le spese fiscali.

I TEGM, aumentati di una quota fissa, stabilita anch’essa per legge, determinano i tassi soglia.

La quota fissa nella formulazione originaria della legge era stabilita in misura pari alla metà del TEGM e quindi il tasso soglia si determinava applicando la formula seguente:

tasso soglia = TEGM + ½ di TEGM

La formula ha subito nel tempo delle variazioni e la più recen- te, quella vigente, è la seguente:

Tasso soglia = TEGM+ ¼ di TEGM+ 4 punti percentuali, col limite che il tasso soglia non possa comunque superare il doppio del TEGM (questo limite è ulteriore elemento di incertezza e di confusione). La variazione, ha lo scopo principale di innalzare il tasso soglia, spostando più in alto il tasso usura. Le banche richiesero l’adeguamento, sostenendo che alcune operazioni, specie quelle in essere e di lunga durata, col calcolo originario, diventavano fuori legge, pur dovendosi considerare regolari in quanto pattuiti, all’origine, in modo legale. Il Legislatore, sempre disponibile alle richieste del Sistema Finanziario, accolse la richiesta, mettendoci di suo la portata generale e permanente della variazione e non invece quella contingente richiesta in sanatoria.

Torniamo al calcolo del tasso soglia, partendo dai tassi effettivi globali medi (TEGM). Questi ultimi, in buona sostanza, non sono neutri, ma determinati dal Sistema Bancario e Finanziario, che è arbitro assoluto nella fissazione dei tassi di regolamento dei prestiti.

Ne consegue che anche nella determinazione dei tassi soglia arbitro assoluto è il Sistema Finanziario: i tassi soglia sono determinati, lo ripetiamo, aumentando i TEGM di una certa grandezza stabilita per legge.

La tabella dei tassi soglia pubblicata con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, relativa al 3° trimestre dell’anno 2019, per le categorie di prestiti più diffuse, evidenzia i dati seguenti:

Categoria di operazioneTEGMtassi soglia
– Credito Personale9,95%16,4375%
– A/c in c/c inferiore a € 5.00010,68%17,3500%
– A/C in c/c superiore a € 5.0008,44%14,5500%
– Cessione del quinto dello Stipendio  
fino a € 15.00011,56%18,4500%
– id. c. s. oltre   € 15.0008,21%14,2625%

I dati indicati in tabella evidenziano, innanzitutto tassi medi effettivi globali (TEGM) molto alti, esageratamente alti, se si considera che la fase attuale dell’economia europea è contrassegnata da bassi tassi d’interesse per effetto della politica monetaria della BCE (quantitative easing) e la raccolta delle Banche è addirittura fatta a tasso zero o negativo. Abbiamo messo a confronto i TEGM della tabella con quelli relativi allo stesso trimestre del 2012, sette anni prima, ed i TEGM sono presso ché invariati, eccezion fatta per la cessione del quinto limitatamente ai finanziamenti per importo superiore a € 15.000. Il Sistema, nonostante i tassi, nel periodo considerato, siano fortemente calati, li ha mantenuti inalterati.

Di conseguenza, sono esagerati anche i tassi soglia. In più: anche per effetto della mutata metodologia di calcolo, il divario tra TEGM e tassi soglia è molto elevato: da un minimo di 6,025 punti percentuali per il credito personale, al massimo di 6,990 per la cessione del quinto di importo inferiore a € 15.000. Ciò consente agli operatori la possibilità di manovrare al rialzo di ben 6 punti e passa percentuali i tassi di regolamento dei prestiti e gli aumenti se contenuti entro questi limiti non determinerebbero tassi usurai perché nei limiti dei tassi soglia. Vero è che la Legge prevede anche la perseguibilità della cosiddetta usura soggettiva, ma questa è sempre di difficile dimostrazione… e si tornerebbe alle indeterminatezze del sistema normativo precedente, che si volevano eliminare.

In definitiva, avere concesso al Sistema, la determinazione dei tassi soglia, avendo come base di riferimento i TEGM è stato un grave errore; i TEGM, lo ripetiamo, non sono neutri, ma fissati dalla controparte, dal Sistema Creditizio e Finanziario, che è poi parte attiva, o meglio passiva, quella cioè da perseguire per reato di usura, in eventuali superamenti del tasso soglia. Infine, a questi livelli, i tassi soglia annacquano l’azione repressiva contro l’usura perché spingono più in alto la soglia di perseguibilità del reato.

Trascorsi più di vent’anni dall’emanazione della Legge Antiusura, considerato che il meccanismo di determinazione dei tassi soglia è causa di distorsioni non solo potenziali, come dimostra l’alto livello da essi raggiunto, il meccanismo andrebbe corretto.

Tra l’altro non dovremmo dimenticare che il Sistema Bancario oltre ad essere stato il principale imputato nei processi di usura celebrati in Italia dopo l’entrata in vigore della Legge 108/96, è anche, con alcuni suoi comportamenti, responsabile, e ne abbiamo fatto ampia relazione, della diffusione del fenomeno usuraio.

Tornando al problema principale, sarebbe auspicabile, per dare la dovuta e necessaria dignità alla Legge Antiusura, uscire da questa impasse, facendo riferimento a tassi veramente neutri e oggettivi (cosiddetti tassi benchmark). Non è il Sistema, parte interessata, che li deve determinare ed influenzare, ma il mercato o Istituzioni terze.

L’Euribor, il tasso di riferimento BCE o quant’altro potrebbero essere la soluzione del problema.

CONCLUSIONI

Nella storia fin qui narrata abbiamo trattato sia del lavoro svolto, sia delle difficoltà che le Fondazioni affrontano nell’esercizio della loro attività quotidiana, per combattere e prevenire l’odioso reato d’usura. Questa attività, complicata e difficile, prevede la partecipazione di una pluralità di soggetti.

-Innanzitutto il debitore in stato di sovra-indebitamento. Egli è il principale destinatario delle attenzioni in quanto si trova in una situazione di grave pericolo. L’azione di prevenzione di cui all’art. 15 della Legge Antiusura, riservata alle Fondazioni ed ai Confidi, a seconda che il debitore sia persona fisica o impresa, deve essere rivolta, in via immediata, alla rimozione, ove possibile, delle cause del dissesto, mirando allo scopo ultimo: all’inserimento del debitore nel circuito ufficiale del credito dal quale era stato escluso. Il mancato reinserimento o recupero del debitore, frustrerebbe, a nostro avviso, l’altra finalità insita nell’azione di prevenzione.

-Un secondo soggetto è lo Stato, che ritiene meritoria e necessaria l’azione di prevenzione contro il reato di usura, la regola con Legge, predispone le risorse adeguate e dovrebbe, anche controllare  l’efficacia  dell’azione  condotta  dagli  altri  protagonisti  (Banche, Fondazioni, Confidi). Ebbene, per ciò che concerne le risorse impiegate dobbiamo rilevare che esse non siano adeguate: con le somministrazioni di fondi annuali, ridotte, in media, per ciascuna Fondazione, a non più di € 150.000 annui, si riescono a finanziare non più di quattro, cinque casi, se di importo contenuto e ammesso che la Fondazione abbia concordato, con la banca convenzionata, adeguato moltiplicatore. Per quanto riguarda i controlli, essi, quando si effettuano, riguardano solo l’operato delle Fondazioni.

-Gli altri soggetti direttamente impegnati nel complesso processo di prevenzione contro l’usura, oltre alle Fondazioni e ai Confidi, sono le Banche, il cui ruolo è decisivo. Più precisamente: nel mentre le Fondazioni individuano i casi di sovra-indebitamento e il non tanto latente pericolo di ricorso all’usura, sono le Banche, in definitiva, che devono decidere l’erogabilità del prestito proposto dalle Fondazioni, garantito dal Fondo Antiusura e diretto a rimuovere il temporaneo dissesto del debitore inadempiente.

Purtroppo l’erogazione di quei prestiti, ancor ché garantiti, è complicata dalle innumerevoli difficoltà frapposte dalle Banche, alle quali abbiamo dato ampio risalto e che, in definitiva, limitano, condizionano e riducono sensibilmente l’efficacia dell’azione condotta dalle Fondazioni, diretta alla prevenzione ed alla lotta contro l’usura.

Abbiamo pure detto dell’altro problema, quello della riabilitazione del debitore, evidenziando che i numerosi casi di reinserimento proposti dalla Fondazione non siano stati presi in nessuna considerazione.   Le proposte hanno ricevuto dinieghi giustificati dalle Banche da pretese prescrizioni regolamentari interne che non ammettono o addirittura vietano il possibile reinserimento del debitore già inadempiente, ma tornato solvibile grazie all’azione di cui all’art. 15 della legge Antiusura.

Difronte alla chiusura delle banche per questo e per gli altri motivi trattati in precedenza, quasi sempre ingiustificata e preconcetta, ed ai conseguenti comportamenti che, come abbiamo più volte sottolineato, sono la causa principale della diffusione del fenomeno usuraio, come si fa a portare a termine l’attività di prevenzione, della quale sono investite le Fondazioni? Il problema, ce ne rendiamo conto, è rilevante: né, d’altro canto, sarebbero ammissibili azioni coercitive, peraltro vietate, perché limiterebbero l’autonomia decisionale delle Banche.

Pertanto, i protocolli d’intesa, le idee-guida, dei quali ci siamo occupati, in buona sostanza, non sono mai rispettati e diventano mere e vuote esercitazioni, appunto perché limitative di quella autonomia decisionale alla quale le Banche non vogliono assolutamente rinunciare. Protocolli e idee-guida sono sottoscritti solo per convenienza promozionale, ma senza nessuna convinzione: non sia mai detto che la tale Banca si sia rifiutata di sottoscriverli. Si registrerebbe una caduta di immagine di enormi proporzioni e si ammetterebbe, non tanto implicitamente, che la lotta all’usura non la riguardi.

Probabilmente, bisognerebbe inventarsi una forma nuova di dialogo, si dovrebbe instaurare una nuova moral suasion, più efficace e persuasiva. Diversamente, la battaglia contro la diffusione dell’usura è persa in partenza, per manifesta insensibilità da parte di uno dei soggetti, che dovrebbe, invece, essere impegnato, in prima linea, perché, in ultima analisi, il recupero dei protestati, inteso come bonifica del mercato, è attività che giova, in prospettiva ed in via prevalente, a tutto il Sistema Creditizio. Di questo problema -il disimpegno delle Banche- se ne parla sottovoce o non se ne parla affatto; eppure è fenomeno condizionante, limitativo, che costituisce, molte volte, il maggiore intralcio all’attività delle Fondazioni nell’azione di prevenzione voluta dal legislatore.

Siamo così arrivati alla fine della storia.

Prima di chiudere mi sia consentito di dare il benvenuto a S.E. Mons. Giuseppe Schillaci, nominato di recente Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme.

Solo qualche giorno fa siamo andati a portagli i saluti della Fondazione e al di là della formalità dell’atto doveroso nei confronti del nuovo Presidente del Comitato Onorario, l’incontro si è subito trasformato in un dialogo vivace e cordiale tra persone interessate ai gravi problemi che affliggono la nostra collettività. Grazie Eccellenza per l’accoglienza che ci ha riservato e per quanto ci ha detto. Siamo usciti da quell’incontro rinfrancati e convinti che Ella possa dare veramente molto a questa martoriata e complicata Città.

Ho il dovere, inoltre, di rivolgere altro saluto e ringraziamento, alla dottoressa Angelina Molinaro che per un numero interminabile di anni ha prestato come volontaria il suo lavoro di consulenza amministrativa a favore della Fondazione e che oggi, sempre come volontaria, ricopre la carica di Revisore Unico.

Tornando alla storia, l’ho detto nelle premesse, essa è il racconto delle difficoltà incontrate in un ventennio di operatività ed è anche il racconto di come esse siano state affrontate e risolte, nei limiti delle nostre possibilità. Per superare gli ostacoli di poteri e forze esterni, ci siamo adoperati, ma la lotta si è dimostrata impari e, molto spesso, vana.

Abbiamo raccontato la nostra esperienza in un’attività non facile, ma molto impegnativa, per le difficoltà oggettive insite in un lavoro che dovrebbe ricalcare quello bancario, ma che da esso si discosta per i contrapposti criteri di valutazione da adottare, sia pure convergenti nelle finalità ultime da perseguire; almeno così continuiamo fortemente a credere,  nonostante le ferme,  incrollabili e inossidabili convinzioni contrarie delle Banche.  Purtuttavia,  le difficoltà maggiori di questa particolare attività hanno riguardato l’atto, la decisione finale: la concessione o il rifiuto dell’intervento necessario alla soluzione dei problemi del debitore derivanti dal suo stato di sovra-indebitamento, fatte salve, naturalmente, tutte le altre complicazioni ravvisabili nei comportamenti della Banca Convenzionata di turno. Il mancato accoglimento della proposta, quando interviene, è sempre motivato, e va comunque ricercato, nelle situazioni più disastrate, o ad impossibilità della Fondazione di ripianarle in considerazione dei limiti massimi imposti ai suoi interventi  (prestito ipotecario di  €  100.000), oppure alla manifesta impossibilità del debitore di onorare gli impegni, causa le sue insufficienti risorse, che è preciso dovere della Fondazione esaminare e valutare.   

Il rifiuto è atto doloroso; esso è sempre stato, e sarà sempre, motivo di grande turbamento perché rivolto a fratelli bisognosi di aiuto.

Lamezia Terme, Settembre 2019.

Aldo Sirianni

Presidente Fondazione Moietta.